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Channel: Toni's Pastries
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Biscotti tipo cantucci, versione moretta

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Ogni tanto non tutto il male viene per nuocere, ed è il caso di questi biscotti nati assolutamente per caso e per giunta da un errore nella lavorazione di un'altra ricetta... che non era nemmeno di biscotti. Nella storia si conta finora un solo caso simile
Avvertenza: le mandorle caramellate apportano un contributo essenziale. Se non ci sono, si possono usare mandorle semplicemente tostate, oppure ve le potete caramellare voi, perdendo un po' di tempo in più.
La pasta è piuttosto densa - con l'occasione ho risolto pure un problema, cioè di scoprire quanto lievito ci volesse per ottenere la consistenza di certi cantucci giganti in vendita in uno dei nostri caffè preferiti.

  • 300 g. di farina 00
  • 130 g. di zucchero
  • 2 cucchiai di cacao amaro
  • 50 g. di mandorle caramellate
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 50 g. di burro
  • 50 g. di margarina
  • 20 g. di olio di mais (in mancanza 60 di burro e 60 di margarina)
  • 1 uovo M
Lavorare burro, margarina, olio e zucchero a crema, aggiungere l'uovo e poi la farina mista a sale, cacao e lievito. Alla frolla ottenuta unire le mandorle. 
Formare un serpente e cuocere a 180 gradi per mezz'ora. Lasciare intiepidire, tagliare a fette e rimettere in forno a biscottare per 15 minuti. 
Tirare fuori, lasciare raffreddare e conservare, ammesso che ne restino, in scatola di latta. 

Torta di pere e crema di cioccolato

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La versione elegante di una ricetta di Cookaround; i passaggi sono molti, ma non difficili e il risultato eccellente. La pasta frolla che fa da base crea un contrasto molto piacevole. Questo tipo di frolla è fatta apposta per questi usi, perché si lascia stendere agevolmente in sfoglie assai sottili. 
È meglio iniziare dal passaggio c., cioè dalla crema, perché deve raffreddarsi. Dosi per stampo da 24 cm.

a. Frolla chiara per basi
  • 150 g. di farina 00 (#405);
  • 75 g. di burro a t.a., a pezzetti;
  • 50 g. di zucchero a velo;
  • Buccia grattugiata di limone;
  • 1 albume;
  • 1 pizzico di sale.
Lavorare molto rapidamente gli ingredienti, avvolgere in pellicola e mettere in frigo. 

b. Ripieno di pere
  • 4-5 pere medie;
  • 25 g. di zucchero;
  • un pezzetto di burro (circa 2 cucchiaini);
  • 2 cucchiai di rum.
Caramellare le pere a pezzetti in un tegame con il burro e lo zucchero fino a quando sono tenere. Se si forma sciroppo (perché si forma...) sgocciolarle e fare di esso un altro uso...

c. Crema di cioccolato
Mescolare in un tegame:
  • 50 g. di farina;
  • 35 g. di cacao amaro di ottima qualità (Valrhona!!!)
  • 100 g. di zucchero;
e versare gradatamente a filo, sempre mescolando, una miscela di 
  • 250 g. di latte intero;
  • 100 g. di acqua;
lasciare addensare col procedimento tipico del budino e quando la crema si sarà rassodata aggiungere 50 g. di cioccolato fondente. Lasciare sciogliere. Fare raffreddare dopo aver incorporato un pezzetto di burro per evitare il formarsi della pellicola (comunque mescolare ogni tanto).

d. Impasto
Montare
  • 100 g. di burro
  • 100 g. di zucchero;
  • Semi di una bacca di vaniglia;
  • Buccia grattugiata di limone;
Aggiungere ad uno ad uno
  • 2 uova M
e incorporare setacciando
  • 200 g. di farina 00 (#405), mista a
  • 1 bustina di lievito (16 g.) e  alternata con
  • 10 cucchiai di latte.
Alla fine mescolare all'impasto i pezzetti di pera caramellata ben scolati.

Comporre il dolce:
Stendere la base di pasta frolla e spalmarvi sopra 
  • 50 g. di marmellata di pere (lo strato deve essere sottile). 
Versare l"impasto con le pere dentro e sopra lasciare cadere la crema. Creare un effetto marmorizzato col cucchiaio. Una parte affonderà in cottura, una parte no. Cuocere a 180º per 40-45 minuti controllando con lo stecchino; attenzione a non eccedere, se esce pulito ci siamo.

Kourabiedes

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Arriva la prima ricetta del nuovo anno, direttamente dal vecchio: i kourabiedes sono i pasticcini greci tipici di Natale e li porta San Basilio. A me li ha portati attraverso un'intermediaria di rango, Vefa Alexiadou, la Nigella Lawson della cucina greca. 
Questi biscotti che contano fratelli e cugini vari in tutto il mondo mediterraneo hanno la caratteristica di essere estremamente friabili e delicatamente aromatizzati all'acqua di rose. Non si possono concepire senza quello strato spessissimo di zucchero a velo, necessario d'altra parte perché l'impasto di per sé non è dolce. Sono molto semplici da realizzare, a condizione di non aver fretta nella prima fase: per la perfetta riuscita è essenziale montare burro e margarina molto a lungo.

Purtroppo anche stavolta la ricetta greca va a tazze, metodo fastidiosissimo; le conversioni qui corrispondono alla mia personale esperienza. Ma la farina misuratela davvero con una normale tazza da tè, è meglio.

Per una cinquantina di biscotti:
  • 230 g. di burro
  • 230 g. di margarina
  • 60 g. di zucchero a velo
  • da 4 a 5 tazze di farina  "per tutti gli usi" setacciata (dice la Alexiadou; cominciare con 4 e poi aggiungere se necessario)
  • 2 bustine di vanillina o semi di due bacche di vaniglia
  • una tazza di mandorle tostate a pezzetti
  • un bicchierino di ouzo, liquore all'anice
  • 400 g. di zucchero a velo (sì, non è uno scherzo)
  • acqua di rose
Si comincia dal montare in planetaria burro, margarina e la prima dose di zucchero a velo con la vanillina o i semi di vaniglia, per almeno dieci minuti. Bisogna ottenere una massa molto soffice e bianchissima. Alcune ricette suggeriscono di utilizzare unicamente burro di pecora e capra, e sicuramente sarà quella la versione tradizionale. Per quanto mi riguarda non ci sarebbero problemi, le difficoltà sono due ma serie: uno, dove diamine lo trovo qui il burro di pecora (i greci che fanno la spesa al supermercato greco di Berlino ne fanno evidentemente a meno, perché non c'è neanche lì, e allora non vedo soluzione)? due, il burro di capra al supermercato bio lo trovo, costa una barca di soldi ma pazienza; ma il biscottino è natalizio, il che vuol dire passibile di trasporto in Italia e offerta all'intera famiglia che conta membri che della capra non riescono a sentire nemmeno il nome senza contorcersi in mille smorfie di disgusto.

Non volendo imporre una simile tortura, andiamo sul moderno: burro normale e margarina. Ma dev'essere un burro di ottima qualità, altrimenti poi manca il sapore. Solo con margarina possono essere pure vegan, ma lì se conoscete l'originale avvertite proprio che qualcosa è cambiato, anche se chi è vegan duro e puro a questo je ne sais quoi rinuncia volentieri.
Per quanto riguarda la vanillina, dobbiamo fare un discorso serio... e mettere da parte snobismo e qualsiasi considerazione salutista. I biscotti greci hanno quell'aroma e basta. Io vado a comprarla direttamente sul posto e la uso solo per queste e simili preparazioni, chi vuole utilizzare la vaniglia deve davvero abbondare con la dose.

Quando il burro e la margarina sono soffici al punto giusto, si aggiunge piano piano la farina alternando con l'ouzo. La dose è sempre indicativa perché bisogna ottenere un impasto morbido che non si appiccica alle mani, e la capacità di assorbimento della farina è decisiva. Le mandorle tostate vanno aggiunte in questa fase.

Vedrete che i biscotti si lasciano formare molto facilmente con le mani nella caratteristica forma a mezzaluna. Disporre su una teglia e cuocere a 180 gradi per 20-25 minuti, finché prendono colore, senza però lasciare che si scuriscano troppo. Appena tirati fuori dal forno spruzzarli con acqua di rose e rotolarli via via in un contenitore già di per sé pieno di zucchero a velo, dove poi potranno essere conservati. Lo zucchero si può spargere anche a strati, man mano che si mettono i biscotti nel recipiente. Non mangiarli per nessun motivo quando sono "freschi"! Ne ricavereste l'impressione che San Basilio, a Natale, si diverta a punire la gente con pasticcini piuttosto insapori o comunque vagamente dolci. Limitatevi a lasciarli raffreddare bene, poi chiudete la scatola, scuotetela ogni tanto per distribuire bene quella quantità immane di zucchero a velo e metteteci mano solo dopo qualche giorno: più a lungo riposano, più buoni diventano. 

Maamoul ai datteri

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Una specialità dei paesi arabi mediterranei che si presenta con vari ripieni: datteri, pistacchi o noci. Al mercato turco, o nei negozi, costano un euro l'uno... altrimenti cercheranno di vendervene a prezzo scontato alla condizione che ne compriate un chilo. Ma la manifattura è semplice e vale la pena di provare. Per la perfezione assoluta ci vuole lo stampo apposito da maamoul che mi riprometto di comprare appena mi capita sotto mano.
I pasticcini si caratterizzano per la loro friabilità, per cui l'uso della farina di semola rimacinata (sì, quella del pane, ma non sapranno di focaccia) è essenziale. Non ci provate senza, verrà fuori una pasta frolla, ma non sarà la stessa cosa. 
Siccome non ho capito quale mi piaccia di più tra la variante ai datteri e quella ai pistacchi, inizio con quella che ho conosciuto per prima, da poco preparata per le feste natalizie.
Dose per circa dieci dolcetti.
  • 270 g. di semola rivaccinata di grano duro
  • 80 g. di farina 00
  • 100 g. di burro, fuso
  • 60 g. di zucchero a velo
  • 1/2 cucchiaino di lievito per dolci
  • acqua di fior d'arancio 
  • pasta di datteri  (250 g. di datteri ammollati in poca acqua bollente e frullati, cannella ed eventualmente semi di sesamo)
Mettere in una ciotola tutte le polveri, versare il burro fuso, mescolare bene e unire acqua di fior d'arancio quanto basta per formare una pasta morbida che non si attacca alle mani. Ne servirà circa un cucchiaio. 
Lasciare riposare la pasta coperta con pellicola per 30 minuti.
Formare delle palline delle dimensioni di un'albicocca, schiacciarle bene e mettere al centro un po' di pasta di datteri (di più che nella foto, quella volta li ho riempiti con una parsimonia che lo zio Paperone al confronto è nulla). Avvolgere la frolla intorno al ripieno e chiudere bene, dopo di che pressare la pallina nello stampo (o quello apposito, che ha tre incavi perché ogni variante di maamoul ha la sua forma, oppure uno a caso). 
Cuocere a 180 gradi per venti minuti senza strafare perché devono restare chiari. Spolverare di zucchero a velo.

Rosette alle mele di Miriam Garcia

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Carini, ma così carini che dispiace mangiarseli, come dice giustamente la stessa Miriam  da cui ho imparato il procedimento per farli. Sono una fesseria, ma fanno un figurone. L'unica difficoltà è affettare le mele nel modo giusto, con la buccia, e cuocerle per il tempo giusto, non troppo poco perché si romperebbero e non troppo perché non devono disfarsi.
La base è di pasta brisée ma c'è gente che usa la sfoglia. Con queste dosi risultano 16 rosette.

Base
  • 250 g. di farina 00
  • 125 g. di burro freddo a pezzetti
  • 60 g. di acqua ghiacciata
  • un bel pizzico di sale 
Ripieno
  • 3-4 mele 
  • 1 limone
  • 8 cucchiai di zucchero


Si prepara la pasta brisée e si mette da parte in frigo. Poi, in una ciotola piena d'acqua fredda e succo di limone, si mettono le mele affettate sottili sottili, meglio con la mandolina. Per ottenere le fettine della forma giusta bisogna tagliare prima ogni mela a metà e poi affettare ciascuna metà nel senso orizzontale. La buccia si lascia, per ragioni estetiche.
Poi, il piatto va in microonde per 3-4 minuti con l'obiettivo di cuocere le fettine quel tanto che basta perché si possano curvare senza che si rompano. Si mettono ad asciugare su carta assorbente o su uno strofinaccio pulito (che non sappia di detersivo).
Per formare i pasticcini, per iniziare ci vuole uno stampo da muffins imburrato e infarinato, eventualmente con i pirottini di carta. Una volta ripresa dal frigo la pasta brisée va divisa in due metà. Prendere la prima metà e stenderla in una sfoglia sottile (ca. 2 mm.) lunga circa 25 cm. Tagliare strisce di 4 cm. di larghezza e cominciare a disporre le fette di mela sulla metà superiore sovrapponendole leggermente. Arrivati alla fine della striscia, arrotolarla su se stessa e collocarla in uno degli incavi dello stampo. Procedere così fino ad esaurire la pasta e le mele. 
Spolverare ogni rosetta di zucchero e cuocere per un'ora a 180 gradi nella parte più bassa del forno, possibilmente col calore dal basso. 

Fare raffreddare su una gratella per lasciare evaporare l'umidità. Volendo, le rosette si possono spolverare con zucchero a velo una volta fredde.

Grenoble dello zioPiero

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Questa è una di quelle imprese che si fanno solo per le grandi occasioni, tipo Setteveli e roba del genere. Intanto perché in questo mostro ci vanno ottocento grammi di panna e non c'è da sottovalutarlo, se si è gente che poi si mette a tagliare le torte tipo prosciutto come facciamo certe volte Herr Doktor-Doktor ed io. Poi perché non è di quelle cosette che vi levate di mezzo in un'oretta, ci vuole una settimana; ma ben "diluito", il lavoro diventa molto semplice, almeno se si padroneggia un minimo di tecnica.
Il consiglio sui tempi viene da uno che di cose complicate ne capisce: Piero, anzi lo zio Piero. Infatti io la Grenoble non la preparo direttamente come Paco Torreblanca che l'ha inventata, ma come fa lui: : mi piace di più e poi come spiega le cose Piero non le spiega nessuno. Mi lagno sempre che non succeda mai nulla per cui valga la pena di affrontare queste maratone: e finalmente è arrivata una festa di colleghi, tra l'altro con forte presenza di amanti del caramello: non me la potevo perdere.

Passiamo alle cose serie. Da sapere:
- la torta Grenoble deve stare almeno 12 ore in freezer e poi in frigorifero prima di poter essere consumata (fredda, anche se non gelata), altrimenti vi si distrugge. Io mi sono permessa di portarla direttamente a casa della festeggiata, perché il clima qui lo consente e la nevicata bastarda di quel giorno tutelava il successo dell'impresa: non fatelo a latitudini meno estreme o almeno non se siete a piedi come noi.
- le dosi sono per uno stampo da 22 cm. 
- la torta Grenoble va preparata suddividendo il lavoro in singoli capitoli ed in modo assolutamente asociale (niente telefono, niente connessioni col mondo) perché in alcuni momenti bisognerà controllare la temperatura delle creme.
- la torta Grenoble non si "addomestica": niente sostituzioni e niente "metticene di meno" quindi il lettore moderato, quello che oddìo quanta panna, quanto zucchero, etc. faccia un giro al largo 
(tanto se ne pente).

Quindi: il primo giorno, oppure l'ultimo, preparare la base, che è un pan di Spagna alle noci e miele.
  • 90 g. di tant pour tant di noci: 45 g. di noci e 45 g. di zucchero da polverizzare insieme.
  • 30 di zucchero (in più)
  • 6 albumi
  • 4 tuorli
  • 75 g. di farina 00
  • 35 g. di miele scuro
  • 40 g. di burro.
Sciogliere il burro con il miele.
Montare gli albumi con i 30 g. di zucchero.
Montare i tuorli con il tant pour tant
Incorporare i tuorli agli albumi (non al contrario) e la farina setacciata.
Terminare con la miscela burro+miele intiepidita, versare nello stampo e cuocere (200 gradi per 15 minuti, ma controllare: i dolci col miele si colorano prestissimo). Tagliare ad altezza di un centimetro,  anche un centimetro e mezzo (a me piace così). Quando è freddo si può congelare. 

Secondo giorno: un disco di croccante al riso soffiato. Qui andiamo rapidi:
  • 60 g. di cioccolato al latte
  • 50 g. di cioccolato fondente al 75% (piace a me; altrimenti al 70% come fa Piero)
  • 20 g. di zucchero
  • 30 g. di nocciole tritate grossolanamente
  • 40 g. di riso soffiato.
Caramellare le nocciole con lo zucchero. Lasciare raffreddare. Sciogliere il cioccolato, unire le nocciole e il riso soffiato. Stendere su un disco di carta forno da 22 cm. con l'anello d'acciaio, livellare bene e lasciare perdere fino a nuovo ordine.
Il disco di croccante diventerà irresistibile se userete cioccolato fondente con pezzetti di fava di cacao: vi sto avvisando.

Siccome il lavoro era breve, si può anche spianare la strada per l'indomani, preparando un'infusione che servirà per il cremoso al caffè. Portare a bollore
  • 135 g. di latte
  • 12 g. di caffè macinato
e andare a dormire il sonno del giusto.

Terzo giorno: il suddetto cremoso. Quale sia la differenza sottile tra il crémeux e la mousse o la bavarese io non è che l'abbia mai capito bene bene, e da qui si vede il solco che mi separa dai foddbloggers seri. Mi pare d'intuire che la questione riguarda il rapporto panna-crema base. Siccome non è il momento di fare filosofia, rimanderete il problema a momenti più accademici e inizierete con il preparare le noci caramellate:

  • 80 g. di noci
  • 50 g. di zucchero.
Si prepara il caramello rigorosamente a secco, sciogliendo lo zucchero sul fornello, ci si rivoltano dentro le noci e poi si versano su un foglio di carta forno facendo attenzione a separarle.
 Per la crema base propriamente detta invece gli ingredienti sono
  • 2 tuorli (si è capito che nella settimana in questione mangerete molte frittate d'albumi, che fanno anche bene)
  • 30 g. di zucchero
  • 2 g. di gelatina ammorbidita e strizzata
  • 100 g. di panna montata
  • l'infusione del giorno prima, filtrata
si porta il latte a bollore con metà dello zucchero e con l'altra metà si montano i tuorli. Si uniscono al latte, e si porta la temperatura a 85 gradi. Quando ci arriviamo, è il momento della gelatina, da fare sciogliere per benino. Lasciare raffreddare mescolando ogni tanto e poi incorporare la panna montata.
Stendere su un foglio di carta forno con il solito l'anello d'acciaio (dopo averlo staccato dal disco di riso che ormai sarà pronto all'uso) sempre regolato su un diametro di 22 cm. Spargere sopra le noci caramellate a pezzi grossi e mettere in freezer.
Attenzione: per incorporare la panna la crema dev'essere quasi fredda, ma controllate bene che non si solidifichi troppo altrimenti il risultato non sarà uniforme: per questo bisogna mescolarla spesso e possibilmente immergere il pentolino in acqua fredda per accelerare il processo.

Quarto giorno: il caramello semiliquido.
Servono
  • 160 g. di zucchero
  • 120 g. di panna (calda).
Preparare il caramello sempre a secco (non deve superare però i 165 gradi altrimenti si butta), versare piano piano la panna a fornello spento e ne verrà fuori una crema stile dulce de leghe che andrete a posizionare, in barattolo chiuso, possibilmente in cima a un armadio o in un posto difficile da raggiungere, altrimenti ve la fate fuori prima, e anche qua vi sto avvisando.

Quinto giorno: la mousse al caffè e caramello.
  • 150 g. di zucchero
  • 60 g. di acqua
e con questi prepariamo un caramello: stavolta non è a secco e durerà un poco, ma vale lo stesso criterio per la regolazione della temperatura più un altro criterio - non mescolare, per nessuna ragione, o si formeranno i cristalli e non solo si butta tutto, ma poi il momento del ripulire la pentola non sarà piacevole. Al caramello aggiungere
  • 300 g. di panna calda
e lasciare da parte. Montare leggermente
  • 75 g. di tuorli (jawohl, ancora frittata di albumi; sono circa 3 tuorli grossi)
e aggiungerli al caramello. Portare la temperatura  a 85 gradi e aggiungere

  •  8 g. di gelatina ammollata e strizzata
  • 5 g. di caffè solubile
Lasciare raffreddare sempre mescolando ogni tanto e sempre col criterio che abbiamo detto prima. Montare
  •  450 g. di panna
e incorporare con delicatezza. Ormai siamo in dirittura d'arrivo e la torta può essere montata. Si opera al contrario, perché dovrà essere capovolta.

Servono un foglio di carta forno, il cerchio di acciaio (tanto il disco di cremoso ormai è ben solido), sempre a 22 cm., e una striscia di acetato che lo ricopra ulteriormente all'interno. Suddividere la mousse caffè-caramello in tre parti.
Gli strati devono essere inseriti come segue
- mousse caffè-caramello 1
- cremoso al caffè (il disco congelato, direttamente dal freezer)
- mousse caffè-caramello 2
- disco di croccante al riso soffiato
- caramello semiliquido da versare sul croccante: partire dal centro, altrimenti, a metterne troppo ai lati, poi "scivola"; versando al centro, si sistemerà da solo
- mousse caffè-caramello 3
- base biscuit alle noci e miele inumidita con liquore al caffè - consiglio di zioPiero che vale un tesoro.

Coprire con la pellicola, mettere in freezer e buonanotte. Dopo 12 ore capovolgere, decorare la torta come volete voi e tenere al freddo fino al momento di servirla.


Pandoro di P. Giorilli

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Il pandoro di Piergiorgio Giorilli quest'anno è servito per inaugurare lo stampo da pandoro in alluminio comprato espressamente a Verona! Lo so che siamo fuori stagione, ma il tempo per parlarne, in periodo natalizio, mancava. 
Anche questo, preparazione lunga, ma che alla fine ripaga della fatica. Naturalmente, manco a dirlo, ci vuole il lievito madre, bello pimpante e doverosamente allenato con rinfreschi quotidiani (vedere qui per ulteriori spiegazioni), e l'impastatrice. Con queste dosi viene fuori un pandoro da un chilo.

Impasto 1:

  • 80 g. di lievito madre
  • 95 g. di zucchero
  • 260 g. di uova intere
  • 110 g. di burro morbido (pomata)
  • 315 g. di farina 00 320-350 W o Manitoba (io ne uso una speciale che si chiama Kuchenmehl, farina per dolci da lievitazione, perché la W non è indicata da nessuna parte)

Impasto 2:
  • l'impasto 1
  • 55 g. di farina dello stesso tipo del primo impasto
  • 5 g. di sale
  • 4 g. di malto
  • 55 g. di tuorli
  • 20 g. di panna
Emulsione per aromatizzare
  • 120 g. di burro
  • 55 g. di zucchero
  • 25 g. di burro di cacao sciolto o cioccolato bianco
  • 10 g. di miele
  • semi di una bacca di vaniglia.
L'emulsione va preparata 24 ore prima dell'utilizzo e lasciata lì a macerare, prima dell'uso lavoratela bene con una forchetta per renderla fluida.

Il lavoro va pianificato su due giorni nei quali si rimane al servizio completo del futuro pandoro che sarà lui a darci il permesso di uscire, di andare al bagno, di telefonare e di svolgere, insomma, tutte le funzioni dei comuni mortali. 
Inoltre, a scanso spiacevoli esperienze: i "fortunati" possessori di uno stampo d'alluminio chiaro come quello che ho comprato io (argh) non lo usino se non dopo averlo bruciato, mettendolo vuoto in forno alla massima temperatura per mezz'ora circa. Senza questa operazione preliminare, per motivi a me ignoti, lo stampo non conduce bene il calore e il pandoro risulterà cotto, buono ma terribilmente pallido. A me è successo la prima volta con conseguente solita Arrabbiatura Bestiale.

Detto questo, per fare il primo impasto 
- montare il gancio a uncino e riunire nell'impastatrice la farina, il lievito a pezzetti e 180 g. delle uova. 
- Lavorare a bassa velocità per circa 10-15 minuti finché l'impasto non diventa omogeneo, poi 
- aggiungere il resto delle uova a cucchiaiate aspettando che si assorbano bene prima di aggiungere la successiva porzione. Allo stesso modo 
- aggiungere piano piano lo zucchero e il burro a pomata. Occhio che se l'impasto si riscalda troppo finisce male, quindi un po' di pazienza, contenitori freddi e velocità medio-bassa (un termometro non guasta, per controllare che la temperatura non superi i 26 gradi). 

Ottenuto un impasto liscio ribaltarlo su un piano leggermente unto e procedere alla pirlatura. Riporre a lievitare nel classico luogo tiepido (25 gradi) finché la massa non triplica il suo volume: tassativo per la buona riuscita.
Al momento giusto sgonfiare l'impasto e metterlo per una decina di minuti al fresco (in frigo): serve per partire con il piede giusto dal punto di vista della temperatura. Poi partire col secondo impasto:

- Cominciare a lavorare nell'impastatrice, sempre col gancio, la metà dell'impasto, la farina e il malto;
-  Quando si sono amalgamati aggiungere l'altra metà del primo impasto e il sale fino ad ottenere una pasta omogenea e ben liscia;
- Adesso è il momento dei tuorli, sempre da aggiungere a porzioni lasciando che si assorbano bene e controllando l'incordatura dell'impasto;
- Terminare con la panna.

Procedere alle fasi di riposo e pirlatura- ancora 30 - :
- 30 minuti in una ciotola, coperto con pellicola, a 28 gradi
- puntatura di 15 minuti, scoperto, dopo aver ribaltato l'impasto su un piano
- spezzare (in caso di pandori più piccoli) o pesare 1100 g. di impasto
- pirlare per formare il panetto 
- ancora 20 minuti di puntatura all'aria; nel frattempo imburrare lo stampo
- seconda pirlatura;
a questo punto posizionare l'impasto nello stampo con la parte che prima posava sul piano rivolta  un po' lateralmente. Mettere a lievitare per 6 ore (con questi climi) o comunque finché l'impasto non arriva a 1,5  cm. dal bordo dello stampo. Scoprire e lasciare formare in superficie una pellicola.
Cuocere per circa 50-60 minuti a 150 gradi (il forno dispone) controllando col termometro a sonda: il pandoro è pronto quando raggiunge al centro i 94 gradi. Lasciare socchiuso lo sportello del forno negli ultimi 10 minuti di cottura.



La veneziana di Francesco Favorito

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Andiamo avanti con la serie dei post arretrati fuori stagione...
C'era anche la veneziana nel repertorio natalizio di quest'anno, preparata con la ricetta di Francesco Favorito, non solo perché è affidabilissimo lui, ma perché affidabilissime sono anche le spiegazioni aggiuntive di Eva e Claudio di Fables de Sucre (grazie!) attraverso cui l'ho trovata (vale anche per il pandoro giorilliano, ri-grazie!). Questa veneziana 2015-16 contiene gocce di cioccolato, ma si tratta di un'iniziativa personale.
Come per tutti i grandi lievitati, ci vuole il lievito madre e non ci sono discussioni (se poi volete ritrovarvi con un bel mattone tipo pallone medicinale, che già l'indomani si trasforma in cemento armato, vai col lievito di birra...). Il lavoro va diviso come sempre in due giorni, e prima di iniziare a lavorare col lievito bisognerà che il vostro amico si alleni per bene (qui un esempio di piano-rinfreschi).
Queste dosi danno una bella veneziana da un chilo. La ricetta è un'altra di quelle che vi lasceranno con un sacco d'albumi da utilizzare!

Impasto 1:
  • 290 g. di farina 00
  • 60 g. di zucchero
  • 120 g. di acqua
  • 50 g. di tuorlo d'uovo
  • 10 g. di latte intero (eh sì: pochetto ma ci vuole)
  • 110 g. di lievito madre pimpantissimo
  • 40 g. di burro morbido

Mettere tutti gli ingredienti, ad eccezione del burro, nella ciotola dell'impastatrice e fare lavorare a velocità minima (1 con il Kenwood) fino a incordatura. Solo a questo punto aggiungere a piccole porzioni il burro. Controllare sempre che la massa riprenda l'incordatura prima di aggiungere la porzione successiva.
Mettere a lievitare nel solito Luogo Tiepido, quello di cui vi fidate di più, e attendere che l'impasto si sviluppi per tre volte il volume iniziale. Come sempre, non cercare in alcun modo di abbreviare questa fase, la pasta non perdona questo tipo d'iniziative. La cosa più conveniente è impastare alla sera, andare a dormire e riprendere la mattina dopo: la mia esperienza è che ci vogliono circa 10 ore, ma talvolta anche 12. Nel frattempo si possono preparare sia la glassatura che l'emulsione aromatica, che hanno bisogno di un lungo riposo:

Emulsione aromatica per veneziana
  • 15 g. di miele
  • Buccia di mezzo limone e di mezza arancia
  • Semi di un baccello di vaniglia
Glassa
Qui ci servirà un po' di albume: magra consolazione, ma almeno una piccola quantità l'avremo fatta fuori.
  • 25 g. di mandorle 
  • 25 g. di nocciole 
  • 100 g. di zucchero
  • 10 g. di albume 
  • ancora 65 g. di zucchero
  • 20 g. di olio di semi dal sapore neutro (mais, girasole)
  • 15 g. di semolino o farina di mais
  • ancora 30 g di albume
  • semi di mezza bacca di vaniglia
  • un pizzico di buccia di arancia
  • un paio di gocce di olio di mandorla amara: altrimenti macinate insieme alle mandorle un paio di mandorle amare o armelline (i noccioli delle albicocche)
  • 3 g. di burro
Macinare le mandorle e le nocciole con i 100 g. di zucchero; aggiungere l'albume e lavorare con le fruste a bassa velocità, continuare con gli altri ingredienti finché il composto non diventa omogeneo. Lasciare in frigo fino all'indomani, coperto con pellicola.

Quando la pasta ci dà il permesso, ripartiamo col lavoro serio: e cioè


Impasto 2:

  • Tutto l'impasto 1
  • 95 g. di farina 00
  • 4 g. di sale
  • 15 g. di emulsione aromatica per veneziana
  • 6 g. di tuorli d'uovo
  • 40 g. di miele
  • 60 g. di zucchero
  • 90 g. di uova intere
  • 15 g. di burro di cacao fuso o cioccolato bianco (idem-ma non caldo, qualsiasi cosa usiamo)
  • 55 g. di burro morbido
Partire dal primo impasto da sgonfiare e lavorare con farina, sale e l'emulsione aromatica. Aggiungere il tuorlo ed il miele. Quando l'impasto diventa omogeneo è il momento dello zucchero. Lasciare prendere l'incordatura e continuare con le uova intere (a porzioni), il burro di cacao e il burro. 
Se mettete anche voi le gocce di cioccolato (fondente!) questo è il momento. 
Per il resto, quello che importa non è avere finito, ma come si presenta la pasta per quanto riguarda l'incordatura: la prova-velo la supera? Allora siamo a posto.
Lasciare riposare per tre quarti d'ora nel Luogo Tiepido.
Ribaltare sul piano (leggermente unto) e lasciare all'aria per 15 minuti.
Pirlare e riempire lo stampo o gli stampi. Teoricamente si dovrebbe mettere impasto per il 10 % del peso previsto dallo stampo perché c'è anche la glassa. Io questa compensazione non la faccio, senza particolari problemi.
Rimettere a lievitare ancora per un tempo indicativo dalle 4 alle 6 ore coperto con pellicola: la veneziana deve arrivare a 1 cm. dal bordo dello stampo.
A questo punto scoprire, lasciare formare la pellicina in superficie (15/20 minuti) e stendere delicatamente la glassa. Completare con zucchero con granella e mandorle intere e spolverare di zucchero a velo (occhio: a dimenticarlo, il danno estetico è notevole).
Cuocere a 160 gradi per 55 minuti: vedere come si gonfia sarà uno spettacolo. La veneziana è pronta quando raggiunge al centro la temperatura di 94 gradi. 
Il problema arriva adesso, perché come il panettone suo cugino, la veneziana ha bisogno di raffreddarsi a testa in giù e bisogna infilzarla con i ferri e capovolgerla adeguatamente. Ecco, su questo punto io sono traumatizzata: da quella volta che una veneziana bella, ma così bella che sembrava un monumento, al momento clou mi scappa di mano perché cade uno dei due libroni, presi all'ultimo momento in tutta fretta che avrebbero dovuto fare da sostegni e splat! sbatte il muso sul tavolo. Evidentemente i tomi non erano abbastanza voluminosi. Come dice l'americano, you don't want to experience this:fate come la gente intelligente e preparate per tempo e in tutta calma il posto dove appendere la vostra veneziana, e se in casa c'è il Codice di Diritto Canonico o altro materiale giuridico, medico o filosofico dalle duemila pagine in su, quelli sono i sostegni più affidabili.  
Attendere 12 ore prima di confezionare.
 



Käsekuchen con ciliegie ai fiori di sambuco

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Ceci n'est pas un cheesecake. E sottolineo un, perché, al di là delle mode linguistiche, in inglese cake è un oggetto inanimato e ogni volta che in Italia sento dire la cheesecake mi viene la pelle d'oca. In ogni caso no, non è un cheesecake ma il cugino tedesco, il Käsekuchen che è buono, ma buono... e, bisogna dire, molto più leggero del corrispondente americano.
Qui non c'entrano niente né il Philadelphia (perché allora torniamo al cheesecake) né tanto meno la ricotta (a quel punto parliamo di torta alla ricotta, ma anche in quel caso si tratta di un altro prodotto). Ci vuole il quark, che in Germania si trova dappertutto e in Italia se capisco bene è più raro: lo trovate al Lidl e sicuramente (perché l'ho visto) al Naturasì o altro supermercato bio più o meno fighetto.
Il Käsekuchen si può preparare con diversi procedimenti e probabilmente ogni famiglia tedesca ha la sua ricetta. C'è chi la prepara con o senza il guscio di pasta frolla, chi aggiunge burro, e nemmeno in piccole quantità (!!!), chi aggiunge panna montata, chi usa quark magro e chi quark alla panna, chi ci mette più o meno amido e chi ci svuota dentro una bustina di preparato per budino, probabilmente perché non si è mai preso un minuto per leggere gli ingredienti - altrimenti saprebbe da un pezzo che si tratta proprio di amido (più i vari aromi più o meno artificiali) e che di conseguenza sono soldi buttati. Inoltre la Germania è divisa, ora che non c'è più il muro di Berlino, in due scuole di pensiero fondamentali: Quelli della Scorza di Limone e Quelli della Vaniglia. Io sarei una spia; mi piacciono tutti e due, e ce li metterei pure insieme.

Le proporzioni e il tipo d'ingredienti utilizzati hanno influenza sulla consistenza del ripieno: più compatto e cremoso o aerato. Le torte delle pasticcerie rientrano in entrambi i tipi. Se risulta gommoso però non ci siamo - ariprovateci. 
Le indicazioni per un Käsekuchen del tipo cremoso le trovate qui nella mia ricetta per quello al papavero e pere (basta utilizzare il ripieno di quark, senza altre aggiunte, per riempire una torta semplice). Questo invece lo volevo diverso, come quello che a Berlino prepara il Café Einstein sul Kurfürstendamm; posto arcifighetto, in cui sembra che a volte si possa avvistare il fior fiore della gente che conta e per trovare un tavolino si deve essere preparati a code tipo casello dell'autostrada, ma noto per il suo Käsekuchen che sembra sia il migliore della città, o tra i migliori.

Quelli dell'Einstein sicuramente la ricetta non la danno a me, e infatti non figura nemmeno in un libro da loro pubblicato, che contiene quelle originali o sedicenti tali di altri loro prodotti. Però le volte che ci sono andata è partito come sempre lo spionaggio industriale e ho cercato di capire che cosa rendesse il ripieno così leggero: molte uova, e albumi a neve. 
Questa ricetta (intendo quella del ripieno) è del fornaio Peter Kapp di Edingen e consente di avere un risultato molto ma molto simile. È comparsa su Die Zeit - Magazin in un articolo dedicato proprio ai Käsekuchen con interviste ad alcuni esperti. Herr Kapp prepara una torta tradizionale, con pasta frolla bianca. E questa versione (uguale a quella dell'Einstein) è, già così, eccezionale. Dovendo vestire a festa il dolce per il compleanno di un'amica, anche lei fan del Käsekuchen e compagna di gite al Café Einstein nonché di indagini sul campo per scoprire la top ten dei Käsekuchen berlin-brandeburghesi, questa volta ho messo il ripieno sulla frolla al cioccolato di Christophe Felder (ricetta qui) e completato con ciliegie in gelatina di fiori di sambuco.

Qui di seguito le dosi per la torta originale (28 cm) e per un dolce di dimensioni umane da 20 (per 8 persone, anche 10 se inclini alle pratiche ascetiche o all'autolesionismo). Per chi fosse curioso di come prepara la frolla Herr Kapp, vi spiego anche quello.

Ripieno                   28 cm                     20 cm

- Quark                  1200 g.                   600 g.        metà Magerquark e metà quark al 40% di grassi; c'è  
                                                                               chi usa solo Magerquark. In ogni caso, in mancanza
                                                                               di varietà, quello che trovate andrà benissimo.
- Latte                      125 ml.                    65ml.
- Zucchero a velo     250 g.                   125 g.
- Amido di grano        60 g.                     30 g.
- Uova                      8 (M)                    4 (M)
- Panna montata      125 ml.                    65 ml.
               Semi di una bacca di vaniglia     

Vi sarete accorti che le dosi per il dolce da 20 cm corrispondono all'incirca alla metà della dose originale, ma non è così che ci sono arrivata (complici brutte esperienze), bensì ricalcolando esattamente in base alle dimensioni secondo il metodo spiegato benissimo su Il chicco di mais (e se no col cavolo che ci riuscivo, considerati i disastri che posso combinare con l'aritmetica).  Anche le uova, partendo dal fatto che Kapp ne usa molto, le ho ricalcolate in base al peso di un uovo M:  ne servono da 220 a 250 g. 

Frolla base di Peter Kapp (per dolce da 28; qui l'uovo è unico, non ho mai ricalcolato, piuttosto ho tenuto il resto per farne biscotti):

  • 300 g. di farina
  • 150 g. di burro
  • 150 g. di zucchero
  • 1 uovo M
  • un po' di latte (così dice Kapp e così vi dico io; il criterio base è che l'impasto non dev'essere appiccicoso).
Impastare e mettere in frigo per mezz'ora.

Il procedimento per il dolce è semplice. Foderare lo stampo con la pasta frolla (quella di Felder o questa poco importa). Mescolare quark, zucchero a velo, amido e vaniglia. Separare tuorli ed albumi e unire i tuorli alla prima miscela. Montare a neve gli albumi. Unire all'impasto la panna montata e gli albumi a neve, con molta delicatezza. Versare nel guscio di pasta e cuocere a 200 gradi per 20 minuti. Dopo questo tempo aprire il forno, passare la lama di un coltello tra il ripieno e il bordo, perpendicolarmente, con cautela ( il ripieno sarà ancora liquido: occhio). Altri incidono orizzontalmente lungo il "coperchio", cosa che ancora non ho mai provato.
Questo procedimento serve in ogni caso, quale che sia la direzione dell'intervento, a consentire al dolce di svilupparsi in modo uniforme e limiterà i danni dell'afflosciarsi una volta freddo, cosa comunque inevitabile e che capita nelle migliori famiglie (certo, i forni professionali questi danni li limitano ancora di più, ma si fa quel che si può). 
Continuare la cottura ancora per 20 minuti, spegnere il forno e lasciare il dolce dentro, eventualmente mantenendolo aperto a fessura.

Quando il dolce sarà freddo guarnire con le ciliegie:
  • 330 g. di ciliegie snocciolate in barattolo; non buttate il succo, ma lasciatene 150 ml.circa
  • 150 g. di gelatina di fiori di sambuco
  • 2 cucchiai di zucchero 
  • 1 cucchiaio di fecola di patate
Riscaldare le ciliegie con lo zucchero e la gelatina di sambuco. Sciogliere la fecola nel succo di conservazione delle ciliegie ed aggiungerla per addensare (non metterla direttamente sui materiali caldi!). Regolare eventualmente lo zucchero, lasciare raffreddare e utilizzare per la decorazione.

Taralli di Afragola di Antonia Russo

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Herr Doktor-Doktor ha un problema: ha sviluppato una pericolosa dipendenza da biscotti, e ormai per lui sono diventati sinonimo di "colazione". Sto arrivando a dubitare che i tempi del cereal bowl siano mai stati reali. Mi pare vagamente di ricordare un'altra fissazione con i corn flakes e con i cereali al miele, ma a giudicare da adesso, mica l'avrò sognato?
Si capisce che al top della classifica ci sono i biscotti da "pucciare" nel. I sablés, quelli sottili, i petits, vanno anche bene, ma in assenza di altro: il criterio base per valutare una pasta frolla è quello assolutamente empirico: "si inzuppa"-"non si inzuppa", e poco importa se, a livello tecnico, la distinzione non è proprio quella, tanto lui mica deve discutere con Lenôtre, Felder e col resto del jet-set pasticcere: da buon sperimentalista, si orienta su scopi pratici.
Tra tutti i vari biscotti corrispondenti al profilo, stavolta tocca ai taralli napoletani; o comunque campani. I "miei" taralli precisamente sarebbero di Afragola: la ricetta è quella di Antonia Russo, con cui andiamo sul sicuro - infatti è perfetta. (La dose è dimezzata per pura pigrizia, essendo noto ai più che i biscotti mi piace molto mangiarli, ma non altrettanto porzionarli, dare la forma etc. etc.)
  • 500 g. di farina 00
  • 250 g. di zucchero 
  • 100 g. di strutto
  • 2 uova intere e 1 tuorlo (M)
  • 4 g. di cremor tartaro
  • 4 g. di bicarbonato
  • 1/2 tazzina di latte (sono circa 50 g.)
  • buccia grattugiata di un limone bio
  • 1/2 tazzina di liquore Strega (oppure anice, ma lo Strega non lo supera nessuno).


La ricetta è tradizionale; mi sono divertita, per pura passione verso quelle zone d'Italia, a cercarne delle varianti, ma le differenze sono minime, probabilmente perché ogni famiglia ha la sua. Per esempio Maria di Maison Milady usa l'ammoniaca come fanno in Sicilia, e, del limone, anche il succo. Quello che non cambia mai è il rapporto farina-zucchero 2:1, che un po' m'incuriosiva  perché ne risultano dei biscotti piuttosto dolci; volevo vedere se era napoletanamente accettabile ridurre, ma niente, tutte le ricette concordano. 
Per lettori sensibili: lo strutto ci vuole, su questo punto Napoli Palermo una faccia una razza: qui non si pone nemmeno il problema. No che non potete sostituirlo-cambia il sapore e pure la consistenza, perché le frolle con burro hanno un'altra friabilità e quelle con margarina un'altra ancora.
Il procedimento è semplice: nel latte vanno sciolti il cremor tartaro ed il bicarbonato; la farina s'impasta a fontana con tutti gli ingredienti, in modo rapido come per una qualsiasi pasta frolla. Si  staccano grossi pezzetti da sagomare a serpentello e con questi si formano dei biscotti a ciambella o intrecciati (non fateli piccini, ma staccate almeno 50 g. d'impasto; la particolarità è proprio nelle dimensioni!). 
I taralli devono cuocere a 180 g. fino a doratura; volendo si possono spennellare d'uovo e cospargere di zucchero, ma, come si diceva, secondo me sono già abbastanza dolci così.

Macarons di Aurélie Bastian

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La ricetta di questi macarons ha aspettato un anno per poter essere debitamente ricopiata e inserita in archivio, ma non perché ci fossero dubbi - ché anzi sono stati rifatti più e più volte - ma come sempre per mancanza di tempo e pure per spirito di contraddizione.
A me i macarons piacciono e li trovo pure comodissimi per il riciclo degli albumi. Ma diciamo che quando una cosa diventa un "fenomeno mediatico" inizia a farmi antipatia e mi passa, come dice il palermitano, il prio, cioè il piacere. Non ci posso fare niente, sarà una malattia, boh.
Eppure con questa ricetta di Aurélie Bastian (che sui macarons ha pubblicato pure un libro che va a ruba, almeno in Germania) ottengo un risultato veramente soddisfacente, almeno quanto con l'altra della Williams-Sonoma e forse anche meglio: da una parte i pasticcini sono esattamente uguali a quelli in commercio in Europa (quelli della Williams-Sonoma un po' meno, sono più bombati, ma questo coincide con la foto del ricettario, quindi si tratta di un risultato voluto), dall'altra la dose è più semplice da adattare e permette di mettere mano a macarons anche se non avete da smaltire quantità industriali di albume.
Non so se il libro della Bastian sia stato tradotto in Italia, in ogni caso la ricetta è questa qui:
  • Per 36 g. di albume:
  • 45 g. di mandorle macinate
  • 75 g. di zucchero a velo
  • 10 g. di zucchero (normale, ma fine).
Questo sempre che non vogliamo colorarli. Altrimenti c'è da pensare anche a procurarsi il colorante alimentare, che dev'essere in polvere e in nessun caso liquido.
L'albume si deve pesare assolutamente. Normalmente 36 grammi corrispondono a 1 albume M, ma anche in questo caso può capitare che il peso sia anche di poco minore o maggiore e questo comprometterebbe il risultato (impasto troppo denso o troppo fluido). 

1. Ri-macinare le mandorle con lo zucchero a velo e passare al setaccio. Si deve ottenere una polvere molto fine. 
2. Montare l'albume e quando inizia ad essere schiumoso aggiungere i 10 g. di zucchero che restano. Questo è il momento del colorante, se lo usiamo, da unire alla fine.
3. A questa meringa adesso si deve unire la polvere di mandorle e zucchero a velo in tre porzioni. La massa deve cadere a nastro, "scrivere", cioè non dev'essere né troppo fluida né troppo densa.
4. Mettere in un sacchetto da surgelati, richiudere, tagliare un angolo e fare cadere la pasta macaron su una teglia rivestita di carta forno formando dischetti grandi come una moneta da due euro, diciamo. Ovviamente è più elegante usare la tasca da pasticceria, ma la pasta macaron è appiccicosissima, quindi il piacere di lavarla lo lascio ai più autolesionisti e personalmente uso il sistema di cui sopra, così alla fine arrotolo il sacchetto, lo butto e non ne parliamo più. Il lettore ecosensibile a questo punto si scandalizzerà per lo spreco di plastica, e gli darei anche ragione, , se preparassi macarons una volta al giorno. Ma non è questo il caso, quindi direi che dal punto di vista ecologico c'è di peggio.
5. Lasciare riposare i macarons da 20 a 30 minuti.
6. Cuocere a 145 gradi per 12-14 minuti. Non di più, altrimenti saranno collosi.
Una volta cotti posare la carta forno su una superficie fredda e attendere prima di staccarli.

I macaron si possono farcire con la ganache classica: Aurélie Bastian la prepara con 50 g. di cioccolato bianco fuso e 12 g. di panna riscaldata, da miscelare e completare con gli aromi o gli ingredienti a scelta. A me piace di più la crema di mandorla o di nocciola che compro già pronta al supermercato biologico.


Pan d'Arancia II: Forza Palermo!

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Se uno pensa alla Sicilia pensa all'arancia, e se pensa all'arancia pensa, almeno se è palermitano, al pan d'arancia: un classico di tutti i bar e panifici, forse perché è molto semplice da preparare. La ricetta è, anche quella, piuttosto nota anche in rete; proprio perché si tratta di un dolce tradizionale non ci sono varianti, se si esclude quella con farina di mandorle di Giovanni Cappello (la trovate da Stefania insieme a tante altre cose interessanti!) e quella Bertolini... della mia mamma (la trovate qui).
La particolarità del pan d'arancia palermitano, che qualcuno chiama pan d'arancio, è che nell'impasto si usa l'arancia intera, con tutta la buccia. No, non diventa amaro, promesso; ma usate ovviamente un'arancia bio se non volete gustarvi insieme al dolce anche i pesticidi. Il risultato è un dolce incredibilmente profumato e umido al punto giusto, tanto che ho intenzione di provarlo col limone per vedere se riesco, dopo anni di tentativi, a ottenere il copycat del lemon pound cake dell'amato Starbucks (l'anno scorso di questi tempi girava una ricetta, ma era una vera fregatura).

Si prepara normalmente nello stampo da plumcake. Il mio è piccino, per cui preparo 2/3 della dose senza problemi.
  • 300 g. di farina 00
  • 250 g. di zucchero
  • 200 g. di burro fuso e intiepidito
  • un'arancia di dimensioni palermitane (bella grossa), bio
  • una bustina di lievito per dolci 
  • 3 uova M
  • una bustina di zucchero con semi di vaniglia o una cucchiaiata d'estratto
  • due cucchiai di liquore all'arancia
Tagliare l'arancia a pezzetti dopo avere eliminato, per così dire, il polo nord e il polo sud, cioè la parte del picciolo e quella corrispondente che in questo momento non so chiamare (triste fenomeno che dicono capiti agli expat che fanno su e giù da una lingua all'altra).
Frullarla accuratamente con i due cucchiai di liquore: non devono restare pezzi!
Montare le uova con lo zucchero, compreso quello con i semi di vaniglia, e quando la massa è ben chiara e spumosa aggiungere prima un paio di cucchiai di farina, poi piano piano il burro fuso, alternando per non smontarla, la farina setacciata col lievito. Terminare con la purea di arancia. 
Versare nello stampo, livellare (basta sbatterlo un po' su un piano) e cuocere a 180 gradi per circa 50 minuti, controllando alla fine con lo stecchino.
Se volete essere proprio ligi alla tradizione, dovete rivestire il dolce con un consistente strato di glassa preparata con zucchero a velo e un po' di succo d'arancia e decorare con rondelle di arancia candita. A me piace nature e quindi lo lascio così. Avvolto in pellicola o stagnola si conserva per qualche giorno benissimo, anzi diventa ancora più buono. 



Graham Crackers (di Re Artù)

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Si parlava nell'articolo precedente di Starbucks... anzi ne parlavo romanticamente come di un luogo del cuore in cui anche oggi, ogni tanto, vado a rifugiarmi per sentirmi a casa; e non me ne vogliano quelli che invece, con sguardo più razionale e realista, lo considerano una specie di McDonalds del caffè. Il che si trascinerebbe dietro tutta una serie di discorsi sulla coerenza visto che io da McDonalds non ci vado nemmeno se cade il mondo, e dire che l'idea è americana pure quella.
Il fatto è che sono sbagliata io col mio carattere naturalmente eretico, incapace di fondamentalismi se non riguardo a pochissime cose: o, per lo meno, sbagliata per il mondo contemporaneo in cui il pensiero è bianco o nero, e sempre infervorato: o con noi, o contro di noi. E infatti, manco a dirlo, quella su McDonalds è la mia idea di quarantenne; devo confessare che a vent'anni, al primo apparire della catena in Italia, e quando ancora il mio rapporto con la carne e con il junk food era diverso, per un po' l'ho pensata diversamente.

Però se c'è una cosa degli Stati Uniti che mi manca perché non è semplice da trovare, sono i graham cracker. Si tratta di quei biscotti integrali alla cannella che si usano, tra l'altro, sbriciolati per fare da base ai (oh yes! maschile!) cheesecakes. Sarebbe un peccato usarli solo per questo, perché sono buonissimi anche da soli e molto leggeri. Assomigliano ai "miei" personali biscotti integrali che chiamo sicilianamente canigliotti (li trovate qui)
Si chiamano Graham da un certo Sylvester Graham, un predicatore del primo Ottocento. Lui sì che era un fondamentalista - portavoce d'una vera crociata contro l'uso della farina bianca, in quanto separare la crusca dal resto del chicco sarebbe, così andava predicando, contro il volere di Dio. Da qui il nome graham flour per indicare la farina integrale.
La ricetta è della King Arthur Flour che ha come sempre tutta la mia gratitudine... Risultano circa 35-40 biscotti a seconda delle dimensioni.
  • 113 g. di farina integrale
  • 120 g. di farina 00
  • 50 g. di zucchero
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino di cannella
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 1 uovo L
  • 50 g. di olio dal sapore neutro
  • 85 g. di miele
  • 30 g. di latte
Uno dei motivi per amare le ricette americane è che sono pratiche. E rapide.
In questo caso: da un lato, contenitore uno: miscela di farine, zucchero, lievito, sale e cannella.
Dall'altro, contenitore due: olio, miele, uovo e 2 cucchiai di latte. 
Versare la miscela fluida sull'altra e mescolare fino a ottenere una massa abbastanza compatta. Eventualmente aggiungere un altro cucchiaio di latte, ma non dovrebbe essere necessario.
Avvolgere in pellicola e refrigerare per circa un'ora.
Stendere su una superficie infarinata e ritagliare a quadrato. Attenzione, appunto, all'infarinatura se volete staccare i crackers senza problemi per trasferirli sulla teglia. A piacere, spennellare di latte e spruzzare con zucchero e cannella; ma sono abbastanza dolci già così per via del miele, e... mi verrebbe da dire cannellosi, magari all'Accademia della Crusca piace.
Cuocere a 180 gradi per 15-20 minuti, o finché non si scuriscono leggermente (occhio, la farina integrale inganna). Trasferire su una griglia e lasciare raffreddare completamente. Conservare in un contenitore ermetico.



Biscotti ai cereali

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La ricetta di questi biscotti viene dalla Grecia, ma non è greca: arriva dalla sorella di Herr Doktor-Doktor alias mia cognata, che è un vero peccato non abbia un proprio blog in quanto chi la conosce sa che maga è in fatto di dolci. 
Chi voglia chiamarli pomposamente Grancereale come faceva una volta mia suocera, potrebbe anche farlo: somigliano molto; e tuttavia farebbe loro un torto, perché sono... più buoni!
Questo biscotto è trasformista: a seconda del tipo di fiocchi d'avena e di ingredienti aggiuntivi che userete, avrà una consistenza più o meno rustica, pur essendo sempre croccante. Mia suocera ce ne ha recentemente mandati un pacchetto in cui lei aveva usato del semplice muesli (probabilmente senza frutta secca e con cereali teneri) e pinoli; il risultato era sorprendente, molto delicato e diverso da quelli, uguali, che avevo assaggiato da lei la prima volta. Quindi ci si può sbizzarrire.
Per circa 24 biscotti (ingredienti base evidenziati in grassetto, gli altri da considerarsi intercambiabili con quelli che preferite):
  • 100 g. di fiocchi di cereali misti (avena, farro, orzo, grano, segale)
  • 75 g. di farina integrale
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 1 uovo M
  • 75 g. di zucchero
  • un pizzico di sale
  • 45 g. di burro
  • 30 g. di olio d'oliva delicato (In mancanza, o in caso di dubbio sulla delicatezza dell'olio e rischio "sapore d'insalata": 75 g. di burro e non ne parliamo più)
  • 2 albicocche secche
  • Un cucchiaio di semi di lino
  • Un cucchiaio di semi di zucca
  • Un cucchiaio scarso di anacardi a pezzetti
  • Un cucchiaio scarso d'uvetta
Tagliare a pezzettini le albicocche secche.
Lavorare a crema il burro con lo zucchero e l'olio. Aggiungere l'uovo e continuare a montare. Incorporare la farina mista al lievito, il sale, i fiocchi d'avena, i semi di lino e il resto degli ingredienti optional. 
Porzionare con un cucchiaio su una teglia rivestita di carta forno ed appiattire leggermente con la mano bagnata. Cuocere a 180 gradi per 15-20 minuti. 

Biscotti morbidi di avena

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Questi biscotti sono una variante dei precedenti e sono "miei". Ne vado fiera: l'idea di preparare i biscotti ai cereali senza utilizzare farina, ma solo fiocchi di avena, si è rivelata vincente. La differenza è che sono morbidi e dalla consistenza "da torta", che si mantiene a lungo: più che biscotti, sarebbero da far rientrare nella categoria merendine. 
C'è però una condizione: i fiocchi d'avena "di base" non sono quelli normali, ma quelli destinati ai bambini o alla preparazione del porridge, cioè quelli finissimi e precedentemente trattati al vapore perché si sciolgano a contatto con dei liquidi. In Italia dovrebbero chiamarsi fiocchi mignon e li trovate nei negozi bio.
  • 150 g. di fiocchi d'avena finissimi
  • 50 g. di fiocchi d'avena normali
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 1 uovo
  • 50 g. di burro
  • 25 g. di margarina
  • 75 g. di zucchero di canna scuro
  • vaniglia
  • una presa di cannella, a piacere
  • un pizzico di sale
  • un cucchiaio di semi di lino
  • un cucchiaio d'uvetta
  • 2 prugne secche a pezzetti.
Il procedimento è lo stesso dei biscotti ai cereali. Si cuociono per 15 minuti a 180 gradi; devono essere ancora morbidi al termine della cottura, ma bruni alla base. Lasciare raffreddare sulla gratella.

Il granola bar de noantri: Nuova incursione corsara

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Tutto cominciò durante un viaggio in aereo, al ritorno dalle vacanze natalizie in Italia. La Air Berlin in quel momento offriva come merendina una barretta ai cereali di una marca molto nota, almeno qui e negli USA. 
Di solito non amo le barrette ai cereali, perché la maggior parte sono collose tipo chewing-gum. Quella però era la fine del mondo e sembrava quasi un biscotto. Herr-Doktor-Doktor ne sentì la nostalgia per le settimane a seguire e non fu l'unico.
All'atto pratico di cercarla nei negozi la difficoltà non era tanto di reperire il prodotto, quanto di fare pace con la lista degli ingredienti - no, non parlo dell'apporto nutrizionale (se no non si chiamerebbero barrette energetiche ma barrette penitenziali, oppure farebbero la gioia di polli, conigli e criceti). Parlo degli oli d'indefinita provenienza, dello sciroppo di glucosio a palate e di altre cose che probabilmente non sono di assoluta necessità.

Di qui la decisione: gli americani, almeno i sanfrancischesi che sono notoriamente salutisti, il granola bar se lo preparano spesso in casa, devo scoprire come e farmi venire un'idea pirata.
Da quel momento... il resto è storia. 
La ricetta che ho messo a punto io è frutto d'una serie di tentativi e confronti vari. Le dosi "a tazze" lasciatele così come sono e usate per misurino una normale tazza da tè.
  • 1 tazza e 1/2 di fiocchi d'avena grossi
  • 1 tazza di quinoa soffiata (o riso)
  • Un pizzico di sale
  • Un pizzico di bicarbonato
  • Un cucchiaino di semi di lino
  • 2/3 di tazza di scaglie di cocco, preventivamente spezzettate
  • Un cucchiaio  di miele
  • Due cucchiai di sciroppo d'acero
  • 1/2 cucchiaio di zucchero di canna scuro
  • 40 g. di crema di mandorle (negozio bio) o burro di arachidi
  • Vaniglia
  • Un pizzico di cannella
  • 2 cucchiai di olio di semi o di cocco
Preriscaldare il forno a 180 gradi.
Mescolare i fiocchi d'avena con l'olio e versarli su una teglia rivestita di carta forno. Farli tostare leggermente, circa 5 minuti. Occhio che non si brucino!
In una ciotola mescolare i fiocchi tostati con il sale, i cereali soffiati e il bicarbonato. In un tegamino  fare sciogliere il miele, lo sciroppo d'acero e la crema di mandorle, poi aggiungere la vaniglia e lo zucchero. Mescolare bene e unire gli ingredienti secchi, rigirandoli con cura.
Trasferire il tutto sulla teglia di prima e pressare bene con un foglio di stagnola precedentemente unto.
Cuocere per 20-25 minuti. Lasciare raffreddare per una decina di minuti, poi rimuovere dalla teglia e tagliare quando ormai i cereali si sono consolidati, ma non del tutto (altrimenti si sbricioleranno). Terminare il raffreddamento su una gratella. Conservare ermeticamente.




Tortino tiepido alle pere e gocce di cioccolato

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Si è compiuto un evento che entrerà nella familiar leggenda: l'acquisto di un forno di ultimissima generazione. E se qualcuno si sta chiedendo che cosa ci sia di tanto leggendario, gli tolgo subito la curiosità: una cosa per cui sembra che non ci sia niente di più semplice (a parte la prima occhiata al prezzo, ma pazienza) si era trasformata in un'odissea, un calvario, una roba da far passare la voglia di comprare un elettrodomestico per i prossimi dieci anni.
Prima portano il forno e non lo possono montare perché manca una presa. Ci vuole l'adattatore.
Poi l'adattatore arriva, viene fissato un nuovo appuntamento e all'ultimo momento telefonano: ci scusi, hanno mandato quello sbagliato.
Poi arriva l'adattatore giusto, ma non lo possono montare, perché nella presa manca un filo, e qui arriva il momento tragico - stavolta hanno staccato completamente il forno e i fornelli vecchi, è venerdì, possiamo stare in campeggio per almeno tre giorni perché un appuntamento con l'elettricista è semplice come uno col medico specialista.
Nel frattempo al telefono due elettricisti diversi danno due interpretazioni diverse del problema e segnalano due tipi di cura, di cui uno spaventoso: sostituzione completa dell'impianto elettrico. 
Dopo ricerca disperata di contatti, tentativi disperati di aprirsi una strada nella selva linguistica del gergo tecnico teutonico (perché, ovviamente, il tutto si svolge in tedesco), conseguenti figure da idiota e minuti su minuti di attesa su linee telefoniche con musichetta, chi trova la soluzione sono quelli del negozio. La cosa migliore è... cambiare forno, con tutti i lati positivi (modello anche migliore di quello scelto in partenza) e negativi (costa pure di più!).
Al termine di un fine settimana trascorso tra queste lotte, arrivati alla domenica due cose erano chiare: uno, se nasco un'altra volta voglio fare l'elettricista: due, stasera un dolce complicato non lo faccio nemmeno se cade il mondo.

Il tortino tiepido alla pera corrisponde appunto a quel tipo di pasticceria semplice e rapidissima a cui potete fare ricorso in caso di ospite inatteso o semplicemente capriccio. La ricetta è mia e nasce come molte altre da un tentativo piratesco. Volevo taroccare un tortino recentemente provato in un ristorante sul lago di Garda, però con un cuore più morbido, più fondente, a metà strada tra il tortino classico ed il coeur coulant al caffè o al cioccolato (ricetta qui e qui)
Le dosi a seguire servono per 4 porzioni da cuocere in piccoli ramequins.


  • 2 uova
  • 100 g. di burro fuso, freddo
  • 200 g. di farina
  • due cucchiaini di lievito per dolci
  • 140 g. di zucchero
  • 150 g. di latte
  • due pere piccole
  • un pizzico di sale
  • una presa di cannella 
  • vaniglia
  • due cucchiai di gocce di cioccolato fondente
Sbucciare le pere e tagliarle a pezzettini.
Montare le uova intere con lo zucchero, con la frusta a mano. Incorporare un cucchiaio di farina, e subito dopo il burro a filo, il sale, la vaniglia e la cannella, e metà del latte. L'impasto deve essere liscio.  Aggiungere il resto della farina mista al lievito, l'altra metà del latte, le gocce di cioccolato e i pezzetti di pera. Suddividere negli stampini imburrati e infarinati e cuocere a 180 gradi per 12 minuti.
Prolungare a 15-20 minuti se si desidera un impasto completamente asciutto da servire freddo, stile torta di mele.
In questo caso invece servire tiepido con liquore allo zabaione (foto) o con salsa alla vaniglia.
 

Torta giulianese altrimenti nota come Attila

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Probabilmente oggi laggiù a Giuliana, provincia di Palermo, quando si dice "panettone" si pensa a quello milanese: magie del commercio e del mondo globalizzato. Ma tanti e tanti anni fa, quando ci stava mia nonna, la parola indicava esattamente questo dolce o per meglio dire la sua versione base (la crema di pistacchio, che non c'era perché in quelle zone il pistacchio doveva essere un lusso, è una mia idea moderna): pan di Spagna e ricotta. La torta delle feste era questa: di semplicità proprio barbara, il che spiega perché, a casa mia, è nota come la torta barbara, oppure semplicemente Attila.

Mi risulta che si preparasse nella pentola d'alluminio cuocendola nel forno a legna. Come poi potessero fare le massaie a cuocere nel forno a legna, e nella pentola, certi pan di Spagna monumentali, quando noi moderni, se vogliamo fare sul serio, ci mettiamo a valutare mille criteri, temperatura, tipi d'impasto, a caldo a freddo, uova intere uova separate, viennese o genovese... e magari certe volte non riesce, è una di quelle cose che resteranno un mistero. Infatti ho voluto rispolverarla perché per testare bene il forno, bisogna dargli da fare proprio con un prodotto di quelli che non perdonano: niente di meglio del pan di Spagna. Per fortuna, l'esame è stato brillantemente  superato.

Serve un pan di Spagna soffice: quindi l'impasto base che prevede per ogni uovo 25 grammi di zucchero e 25 di farina. La ricetta è per una torta da 18 cm., ma è facile da adattare per altre dimensioni.

  • 3 uova M
  • 75 g. di zucchero
  • 40 g. di farina 00 (#405) 
  • 35 g. di fecola
  • vaniglia
Nessuno mi convincerà a lavorare un pan di Spagna per torte siciliane col metodo delle uova intere. Sono tradizionalista: vanno montati per almeno dieci minuti tuorli e zucchero con la vaniglia, e solo quando la miscela è chiarissima e spumosa si potrà aggiungere la miscela di farina e fecola setacciata tre volte e gli albumi montati a neve ben ferma.
Il tutto va nella teglia con il solo fondo imburrato e infarinato, senza sbattere o livellare altrimenti si forma il "vulcanetto" ; e poi in forno (nella parte bassa) a 180 gradi per 35 minuti. Quando raggiunge al cuore la temperatura di 96 gradi è pronto.
Meglio farlo raffreddare a faccia in giù. Prepararlo il giorno prima e conservarlo avvolto in pellicola renderà più semplice il taglio.

Per la farcitura:
  • 300 g. di ricotta possibilmente di pecora
  • 100 g. di zucchero
  • vaniglia
  • 2 cucchiai di gocce di cioccolato fondente o 30 g. (ma anche di più, a piacere) di cioccolato fondente a pezzettini (all'antica)
  • un cucchiaio di pasta di pistacchio (ricetta qui)
  • un pezzetto di cannella in bastoncino, tostata e macinata col pestello
  • liquore Strega per bagnare
  • Diavoletti colorati
La ricotta dev'essere ben asciutta. Mescolarla e lasciarla da parte per qualche ora, poi passarla al setaccio. Aggiungere gli aromi. Prelevare un terzo della crema e mescolarla bene (col frullino è meglio) con la pasta di pistacchio. Al resto unire il cioccolato.

Tagliare il pan di Spagna in tre strati, bagnare spruzzando di liquore Strega e farcire con la crema decorando con diavoletti e zucchero a velo (quest'ultimo da spargere poco prima di portare il dolce a tavola). Conservare la torta in frigo, ma tirarla fuori un'ora prima di consumarlo: non dev'essere gelida!
La versione classica prevede che la crema si metta anche sulla superficie. Io preferisco metterne un po' di più all'interno: mi sembra che si asciughi un po' e fa sciogliere i "diavoletti".



La pizza di amarene napoletana

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Ogni tanto mi viene in mente che quantitativo industriale di marmellate e conserve di frutta ho preparato e messo da parte durante il beato tempo estivo. 
E se non si usano, che ci stanno a fare? 
Quindi: frolla di amarene, anzi "pizza" di amarene, alla napoletana. La ricetta dell'impasto è quella di Antonia Russo, dal quaderno del padre pasticcere, e si può usare tranquillamente anche per preparare il classico "pasticciotto", che poi non sarebbe altro che la forma mignon.
La pasta frolla, che è molto simile a quella che usiamo in Sicilia (come tante altre cose) contiene strutto. Non sostituitelo perché non è la stessa cosa. È una pasta morbida, dalla fragranza caratteristica (non scherzo), che tiene benissimo il taglio e si fonde perfettamente con la crema.
Ho letto su Gennarino una discussione sulla questione "ammoniaca sì, ammoniaca no". Chiaramente, l'ammoniaca la può usare chi vuole una frolla che cresca in volume, tipo biscotto. Il cruccio filosofico del forum sulla frolla perfetta (si trattava in quel caso della versione pasticciotto) a me pare disquisizione accademica allo stato puro: a Napoli, pasticceria che vai, frolla che trovi; quindi è questione di gusti. E siccome a me i discorsi accademici bastano e avanzano nel resto del tempo... seguo i miei e vi raccomando questa qui.

Dose per una torta da 20 cm.

Base:
  • 250 g. di farina
  • 100 g. di strutto
  • 50 g. di zucchero
  • 1 uovo
  • 1 cucchiaino di miele
(Per doppia dose: utilizzare un uovo intero ed un tuorlo)

Impastare una frolla a partire dalla farina intrisa bene con lo strutto. Lasciare riposare in frigo per mezza giornata (almeno).

Ripieno:
  • 500 ml. di latte minimo al 3,5 % di grassi
  • 3 tuorli
  • 80 g. di zucchero
  • 65 g. di amido di grano
  • vaniglia
  • mezza tazzina di liquore Strega (c'è chi ne usa una intera, ma non sono d'accordo: l'aroma mette un po' in ombra le amarene).
Il liquore va aggiunto quando la crema è ormai fredda.
In più:
  • un barattolo di amarene sciroppate
 Quelle fatte in casa hanno uno sciroppo molto fluido, per cui può essere utile farlo addensare leggermente con mezzo cucchiaino di amido o fecola.

Dividere la frolla in due parti, di cui una leggermente più grande. Stendere due sfoglie sottili (4-5 mm.). Foderare con la più grande uno stampo imburrato e infarinato, versare un po' di crema, le amarene, e ricoprirle con altra crema. Il secondo disco di pasta dev'esser grande come lo stampo stesso: posizionarlo a mo' di coperchio e ripiegare su di esso il bordo in eccedenza dalla base.
Cuocere a 180 gradi per 35 minuti.
Servire spolverato di zucchero a velo.

Le paste di méliga

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Le paste di méliga piemontesi sono le cugine dei crumiri. Anzi sui crumiri c'è una divergenza d'interpretazione circa la presenza della farina di mais, con due scuole di pensiero, quella di chi ce la vuole e quella di chi ne fa a meno. Invece le paste devono avercela, altrimenti non vale.
Andrebbero sagomate con la tasca da pasticceria, avendo a disposizione la necessaria pazienza. Altrimenti con le mani: all'antica. L'importante è che non siano piccine, ma belle robuste.
Detto questo, una parola sola: fatele!

La ricetta è di Davide Bugni, da Vivalafocaccia.
  • 200 g farina 00
  • 200 g farina di mais giallo (fioretto, quella fine)
  • 180 g di burro
  • 125 g di zucchero
  • 2 uova intere
  • 4 g di lievito per dolci
  • semi di vaniglia
  • 2 g di sale
Mescolare le due farine col lievito.
Montare burro e zucchero con la vaniglia; ottenuta una massa cremosa unire le uova (una alla volta) ed il sale.
Aggiungere la farina: sarà facilissimo ottenere una bella frolla che non si appiccica. Lasciarla riposare un'ora a temperatura ambiente e formate i biscotti. Bugni raccomanda il riposo in frigo per due ore se s'intende stendere una sfoglia da ritagliare, ma in altre occasioni sono riuscita a farlo lo stesso anche con l'impasto a temperatura ambiente; tanto la sfoglia dev'essere ben spessa (1 cm.) e non richiede che si faccia pressione. Forse non funzionerebbe ad altre latitudini e in altre stagioni, quindi regolarsi secondo coscienza!
Cuocere a 180 gradi per 20 minuti; 15 se le si preferisce più chiare. Io trovo che ben dorate queste paste diano il meglio di sé perché si sviluppa il profumo del burro caramellato. 
L'aggiunta di gocce di cioccolato all'impasto (nella foto se ne intravede una)è un optional sicuramente non tradizionale, ma assolutamente da raccomandare.
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