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Channel: Toni's Pastries
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L'irresistibile friabilità delle intorchiate baresi

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Diamine... e chi le conosceva. Se non ne avesse portato un pacchetto l'amica e collega B. direttamente dalla Puglia, penso che mi sarei persa una esperienza importante.
Chi le ha già provate saprà: questi biscotti, che esistono anche in versione salata, sono terribilmente friabili e di consistenza leggera, come grissini, ma grissini particolarmente lievi. Da non sgranocchiare in presenza di computer, su divani pregiati, tappeti o altro, per via delle briciole... La loro caratteristica è la coesistenza di dolce e leggermente salato. Non potevo evitare l'avvio delle operazioni di taroccamento tramite indagine a tappeto per trovare la ricetta.
Dopo confronto di varie versioni ce l'abbiamo fatta. Herr Doktor-Doktor, che ne aveva assaggiate due delle originali, da me portate a casa proprio come parte dell'esperimento, conferma la riuscita dell'indagine. Ne risultano una ventina, ma per il momento ci siamo proprio fissati, devo rifarle quanto prima (così cambio l'orrenda foto, tra l'altro).
  • Farina 0, 100 g.;
  • Farina 00, 150 g.;
  • Margarina, 35 g.; morbida
  • Vino bianco, 75 g., secco
  • Lievito per dolci, 5 g.;
  • Una presa di ammoniaca (la punta di un cucchiaino);
  • Zucchero, 75 g.;
  • Sale, 1 cucchiaino abbondante;
  • Zucchero vanigliato, 2 dosi;
  • Olio d'oliva (delicato!), 50 ml. (non grammi, con l'olio la quantità cambia considerevolmente);
  • Mandorle spellate per decorare;
  • Zucchero di canna per decorare.
 Precisazione iniziale. Mi ero studiata l'etichetta del panificio, e parlava di farina 0. Io trovo che la farina 0 contenga troppo glutine, l'impasto diventa difficile da stendere nella forma giusta, quindi mescolo un po' di 00 per rilassarlo. Può darsi che dipenda dalla farina 0 in vendita in Germania, non so se sia particolarmente "forte". Lo zucchero della decorazione, invece, in teoria sarebbe bianco; quello di canna (Demerara) lo uso io per il suo sapore caratteristico.
Per ottenere la consistenza giusta bisogna assolutamente partire dagli ingredienti liquidi da mescolare bene tutti insieme, con il sale e lo zucchero, fino a quando lo zucchero si scioglie. Solo allora è il momento della farina, setacciata con lievito e ammoniaca, da mescolare a cucchiaiate. Ottenuta una bella palla, si lascia stare per mezz'ora e poi si inizia a formare dei cordoncini da intrecciare insieme o da arrotolare a 8 e passare nello zucchero (di canna o semolato). Queste treccine si decorano con lemandorle, che dovrebbero essere tre per ogni biscotto, o due per i biscotti a forma di 8. Via in forno a 180 gradi fino a che non sono ben dorate. È il caso di stare attenti a fare i biscotti più o meno tutti della stessa grandezza, per evitare differenze nei tempi di cottura (io che non ho il gene di Martha Stewart devo faticare molto su questo punto).

Boston Cream Pie (di Re Artù)

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Il Boston Cream Pie, che non si capisce cosa c'entri con la categoria pie ma si chiama così, è un classico dessert americano relativamente semplice ma di un certo effetto. Si gioca tutto sul contrasto tra vaniglia e cioccolato: la crema pasticcera del ripieno e la glassa, talvolta una ganache, talvolta no. 
La base è una specie di pasta Margherita; dev'essere soffice, ma non asciutta, perché a rigore il Boston Cream Pie non prevede bagne. Io uso un hot milk cake secondo ricetta della King Arthur; hanno ragione, si tratta di un impasto che si mantiene morbidissimo, non ha bisogno di sciroppi e nello stesso tempo non fa a contatto con la crema certo sgradevole effetto di "pane zuppo"...  Poi come descrive le ricette PJ Hamel su Bakers' Banter, il loro blog, è un vero spasso, prima o poi devo conoscerla di persona.
  • 3 uova M/L a temperatura ambiente;
  • Zucchero semolato, 270 g.
  • Vaniglia (estratto), 1 cucchiaino;
  • Latte, 170g.;
  • Farina 00(#405), 170 g.
  • Burro, 1 cucchiaio;
  • Lievito per dolci, 1 cucchiaino e mezzo;
  • Sale, 1/2 cucchiaino.
Preriscaldare il forno a 175 gradi e preparare uno stampo da 22-23 cm. Montare nell'impastatrice uova intere e zucchero, finché la massa non scrive. Aggiungere l'estratto di vaniglia. 
Nel frattempo riscaldare il latte con il burro; deve raggiungere un leggero bollore. Versare il latte caldo a filo sulle uova montate, senza spegnere l'impastatrice, e continuare a montare ancora per un minuto. Setacciare sulla massa farina, lievito e sale e incorporare a bassa velocità (ancora un minuto; non lavorare troppo l'impasto, ma fare attenzione che non restino grumi; eliminarli eventualmente con un cucchiaino). Cuocere 50-60 minuti, con prova stecchino; dev'essere ben dorato in superficie e staccarsi dalle pareti dello stampo.

Intanto penseremo al ripieno. La crema pasticcera è una metafora della vita, e per tanti motivi. Uno, la prima fesseria che fai, se ne trascina dietro altre a catena, e non c'è verso di salvare il risultato, anzi più insisti e più guai combini. Due, studiare può anche servire, anche se non sembra.; e proprio nel mio caso, la chimica,  bête noire ai tempi della scuola ma di una certa utilità quandi si tratta di amidi e del loro comportamento. Tre, l'atteggiamento fideistico nei confronti di qualche maestro vero o televisivo, senza un certo spirito critico, non sempre paga. Queste considerazioni filosofiche sulla crema mi sono state ispirate dalla serie interminabile di casini combinati nella vita per volere seguire certe indicazioni d'autore, oggi molto di moda; ok, fondatissime sul piano teorico - l'amido di riso fa questo, l'amido di mais fa quell'altro, il compito del tuorlo è questo e quest'altro - ma pericolose nel loro rifiuto totale della farina come addensante... E invece, per farcire questo tipo di torte, la farina ci va, anche se poca.
Nel mio archivio ci sono altre ricette per preparare la crema pasticcera, per esempio qui, qui o qui, ma non sono adatte; bisogna che sia vellutata, ma nello stesso tempo capace di reggersi per non fare l'effetto fangoso "torta dell'asilo", e non eccessivamente dolce perché c'è già la copertura che di suo lo è. Quindi mi baso su quella consigliata dalla King Arthur, manco a dirlo. E loro un minimo di farina ce la mettono...

  • Latte intero, 500 g. (o latte intero, 400 g. + panna fresca liquida, 100 g.);
  • Zucchero, 70 g.;
  • Sale, 1/4 di cucchiaino
  • Mezza bacca di vaniglia incisa;
  • Amido di mais, 35 g.;
  • 1 cucchiaio scarso di farina;
  • 2 tuorli d'uovo.

  • Si può procedere col metodo che si vuole; o miscelando uova, zucchero, sale,  i semi della vaniglia , la farina e  l'amido e versando a filo il latte caldo aromatizzato con la bacca, per poi rimettere sul fuoco e fare addensare, oppure con l'ottimo metodo di Montersino (sì, quel tale odiatore della farina nella crema):  miscela di uova versata direttamente nel latte caldo, appena riprende il bollore pronti con la frusta ed ecco la crema.
    Ecco la crema un corno, se però non la lascerete per qualche secondo a contatto con il latte bollente:  se i tuorli non raggiungono questa temperatura non si disattiva un enzima che poi distruggerebbe gli amidi con conseguente sorpresa e arrabbiatura: la crema così bella da calda, nell'intiepidirsi diventa sempre più fluida e se poi si raffredda vi cola da tutte le parti. Oltretutto in questo modo quella cucchiaiata di farina non lascerà nessun antipatico retrogusto, di quello che io chiamo di farinazzo.

    A crema fredda, tagliate la torta in due e farcitela con la crema. Completate con la glassa di cioccolato. Si può usare una normale ganache, ma so da esperienza americana che questo è l'elemento su cui c'è maggiore libertà (qualcuno usa il cioccolato fuso e basta) e quindi io uso quella... importata dall'Ungheria, cioè quella della torta Gerbeaud:

    • Burro, 30 g.
    • Cacao amaro, 30 g.
    • Zucchero, 80 g.;
    • 2 cucchiai di latte.
    Aggiungo in questo caso un quadratino (20 g.) di cioccolato fondente, da far sciogliere con il burro, e un cucchiaio di latte in più. Cacao e zucchero si sciolgono nella miscela, che poi si omogeneizza col frullatore a immersione. La glassa non si spalma, ma si versa sulla torta a partire dal centro e deve soltanto colare ai lati, senza ricoprire completamente i bordi.

    Biscotti greci che più greci non si può

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     ... perché questa volta la ricetta me l'hanno data a voce. Quello nella foto sotto è il bigliettino su cui l'ho annotata, in tutta fretta, intanto che la signora mi dettava le dosi, poco prima di partire...
     La signora in questione si chiama Katerina K. e gestisce un bed and breakfast sull'isoletta di Kythnos, assolutamente da raccomandare a chi voglia farci una vacanza per cortesia, simpatia, pulizia e quant'altro uno possa desiderare da un alloggio di questo tipo. Se poi siete proprio fortunati, vi capitano anche i biscotti: questi. Prima di partire la signora ce ne ha regalati un po', e visto l'interesse si è detta pure disponibilissima a spiegarmi come li fa. Se confrontate con le altre mie ricette di biscotti greci vedrete che più o meno il principio è lo stesso, questi hanno un buon profumo d'arancia in più. La dose è per un chilo di farina, il resto all'uso greco, a tazze - la tazza da té da 250, mi pareva di capire, e ne ho avuto conferma. Partite però da 900 g. di farina, meglio aggiungere che avere a che fare con una pasta troppo dura. Sono nistìsima, non contengono burro né uova, e la loro "frollaggine" si affida all'olio di mais.
    Traduco dal biglietto...
    • Farina per tutti gli usi (sarebbe 0, ma anche 00 italiana o 405 tedesca va bene); da 900 g. a 1 chilo;
    •  Zucchero, 1 tazza;
    • Succo d'arancia, 1 tazza (fresco!);
    • Olio di mais, 1 tazza;
    • Buccia grattugiata di tre arance;
    • Lievto per dolci, 1 bustina;
    • Bicarbonato, 1 cucchiaino (da sciogliere in un po' di succo);
    • Vaniglia, 2 dosi (sono i flaconcini di vanillina che usano in Grecia, è molto forte e la compro apposta d'estate alla faccia del mio disprezzo per gli aromi artificiali - i biscotti greci, se hanno da esser greci, la prevedono; altrimenti zucchero con vaniglia).
    Per il risultato ottimale la frolla non si deve "impastare", ma bisogna partire dagli elementi liquidi: sciogliere lo zucchero nella miscela di succo d'arancia e olio, aggiungere il bicarbonato sciolto, la buccia mescolata a un po' di farina e il resto di essa. Okhi poli skliro, dice la signora: la pasta dev'essere facile da lavorare. Prelevate porzioncine, sagomate a serpentello e intrecciate, o date forma di S. La cottura avviene a 180 per un quarto d'ora o fino a doratura.

    Il Ponte Ammiraglio!

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    Dilemma in famiglia. La moglie vorrebbe un dolce alla crema, il marito vorrebbe una crema ben soda alla vaniglia, ma ci vorrebbe pure la marmellata, e la vorrebbe rossa... "Ma che, il Pont-Neuf?""Boh" fa lo scienziato, che in queste cose perde del tutto la scientifica precisione "ma magari con la base al cioccolato...""Sì, ma la marmellata rossa col cioccolato non ci sta!". E così parte un progetto che i modaioli del settore potrebbero chiamare sensazione Pont-Neuf, e io per istintiva antipatia verso il trendy in generale ho chiamato Ponte Ammiraglio in ossequio a un celebre ponte palermitano (dopo un momento d'indecisione nei riguardi del Glienicker Brücke, ponte berlinese a due passi da casa notissimo per gli scambi di spie Est-Ovest ai tempi della guerra fredda).  Risultato sensazionale. Pasta frolla al cioccolato di Erik Kayser (ci vengono pure i biscotti!), crema pont-Neuf, e marmellata di albicocche al posto di quella di frutti di bosco. Diametro 22 cm. Vi risparmio la fatica di andare a cercare dove ho messo le spiegazioni per le singole componenti e faccio auto-copia e auto-incolla.

    Quindi: 
    Pasta frolla al cioccolato di Éric Kayser:
    • Burro morbido, 125 g.;
    • Zucchero a velo, 75 g.;
    • Mandorle macinate a farina, 25 g.;
    • Lievito per dolci, 5 g.;
    • Cacao amaro, possibilmente di quello serio che costa quanto la polvere d'oro - Valrhona o Angélina, 15 g.;
    • Sale, 2 g.
    • Uovo intero, 1;
    • Farina, 195 g.
    Setacciate la farina con il cacao e il lievito; lavorate a crema il burro con lo zucchero. Aggiungete le mandorle, l'uovo e la miscela di farina; impastate a palla, avvolgete in pellicola e lasciate riposare in frigo almeno un'ora prima di foderare lo stampo, tenendo da parte un po' di pasta anche per la decorazione. 

    Crema Pont-Neuf: si ottiene mescolando crema pasticcera e pasta da bigné.

    Crema pasticcera:
    • 100 g. di panna fresca;
    • 80 g. di latte; (o 180 g. di latte se volete "alleggerire");
    • 50 g. di zucchero;
    • 15 g. di amido di mais;
    • semi di vaniglia o 1/2 bacca incisa;
    • un tuorlo d'uovo, grosso.
    si riscalda la panna e il latte (o il latte e basta) con metà dello zucchero, si  sbatte il tuorlo con la vaniglia, il resto dello zucchero e l'amido e si fa addensare il tutto a fiamma bassa o col metodo montersiniano
    Pasta da bigné:
    • 50 g. di acqua, 
    • 50 g. di latte;
    • 30 g. di burro;
    • un cucchiaino di zucchero;
    • un pizzico di sale;
    • 75 g. di farina;
    • 2 uova grandi.
    Portare ad ebollizione i liquidi, con burro, zucchero e sale; versare la farina e mescolare fino a che la massa si stacca sfrigolando dal tegame; lasciare intiepidire ed aggiungere le uova, una alla volta e incorporandole per benino.
     
    Per comporre la crostata ormai serve solo la marmellata; un vasetto piccolo da 200-250 g., di albicocche. Spalmatela sulla frolla, ricoprite con la crema e poi decorate a grata. Cuocete  a 180 gradi per circa 35 minuti. La decorazione si completa come quella dell'originale francese, alternando nella grata "caselle" spalmate di marmellata e "caselle" spolverate con zucchero a velo (non igroscopico, altrimenti lasciate perdere o mettetelo solo all'ultimo momento).

    Caramel-Walnut Apple Cake (di Re Artù)

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    Non è la solita torta di mele!!! Base morbidissima alla vaniglia, mele a pezzi grossi, quello che la rende particolare è la colata al caramello. Grazie alla King Arthur Flour, da me invece vi verrà un piccolo trucco che migliora ulteriormente l'aroma, e cioè l'aggiunta all'impasto di una grattatina di fava Tonka.

    Base:
    • 155 g. di farina 00 (#405);
    • 100 g. di zucchero (1/2 cup);
    • 1/4 di cucchiaino di lievito per dolci ;
    • un pizzico di sale.
    • 90 g. di burro, morbido ma ancora freddo, in 6 pezzetti;
    • 1 uovo L;
    • 1 tuorlo d'uovo;
    • vaniglia;
    • 90 g. di Schmand (panna acida), al 24%, o se non la trovate, stessa quantità di panna liquida;
    • Una grattatina di fava Tonka, o se preferite, di noce moscata.
    Procedete con il metodo "inverso", che vi spiego qui, lavorando con questi ingredienti.

    Copertura:
    • 2 grosse mele tagliate ciascuna in otto pezzi
    • 60 g, di noci grossolanamente tritate
    • 140 g. di caramello solido da sciogliere oppure 12-14 bonbons al caramello
    • 40 g. di latte intero o panna.
    Prima di tutto tostate le noci in forno per una decina di minuti e salatele molto leggermente. Preparate il dolce, sistemando i pezzi di mela in ordine sparso - devono trovarsi disposte a caso e il bello è questo, perché evitano un risultato asciutto. Cuocete per 40 minuti (con prova stecchino) a 180 gradi, in stampo da 22 cm. e intanto preparate il caramello sciogliendo i bonbons o il caramello solido nel latte o panna. Niente vieta di preparare il caramello da zero e mescolarlo poi con molta attenzione al latte (caldo!) Quando la torta esce dal forno, liberatela dallo stampo appena tiepida e versatevi sopra  il caramello, badando che coli nelle fessure che si saranno formate intorno ai pezzi di mela. Terminate con i pezzetti di noci tostate.

    Brioches genere Buondì

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    ...ovvero la mia sfida personale al mondo dell'industria continua. La ricetta mi viene, come punto di partenza, da Silvia Conticini (La cuoca per casa; nessuna parentela, credo, col celebre Philippe, ma professionista anche lei); con in più un po' di farina di riso e di olio di mais nell'impasto, alla cui opportunità mi fa pensare il confronto con la ricetta dei maritozzi di Adriano Continisio. La glassa è un po' più leggera dell'originale per ragioni di gusto. Con queste dosi ne preparo dieci. Come tutte le brioches a lievitazione naturale è meglio iniziare nel tardo pomeriggio e lasciarle lievitare tutta la notte.
    Questi Buondì, proprio quelli della foto, hanno spopolato a una festa di compleanno. Una signora tedesca mi assicura che sono perfetti anche per accompagnare formaggi cremosi, nonostante siano fondamentalmente brioches dolci. Io il coraggio non ce l'ho, ma se qualcuno vuol provare, fatemi sapere.

    • Farina Manitoba, 100 g.;
    • Farina di riso, 25 g.;
    • Farina 00, 25 g.;
    • Lievito madre "allegro" (quindi rinfrescato la sera prima), 75 g. 
    • Zucchero, 45 g.;
    • Latte, 125 g.;
    • Tuorlo d'uovo, 30 g.;
    • Malto, 5 g. (o miele);
    • Latte in polvere, un cucchiaino;
    • Burro morbido, 25 g.;
    • Olio di mais, 20 g.;
    • Sale, 1 cucchiaino; 
    • Vaniglia, semi di mezza bacca;
    • Buccia grattugiata d'arancia, 1 cucchiaino;
    • Marsala, 1/2 cucchiaio.
     Si utilizza l'impastatrice planetaria. Partire dalla farina; ammorbidire il lievito madre in un po' del latte, aggiungerlo insieme con il resto degli ingredienti liquidi e il malto, lasciare incordare e poi proseguire con il tuorlo d'uovo.
    Continuare con lo zucchero misto ai semi della vaniglia, il latte in polvere, il burro e l'olio. Lasciare riprendere l'incordatura e concludere col sale e la buccia d'arancia. Dopo una prima lievitazione di mezz'ora, formare dieci panetti, disporli (distanziati) sulla teglia, coprire con pellicola, sistemare in forno spento o nel solito Luogo Tiepido e buonanotte, in senso proprio e figurato.
    La mattina dopo vedrete che avranno raddoppiato il loro volume. Spennellateli con la glassa alla mandorla, oppure con albume e zucchero in granella, e cuoceteli a 160 gradi per mezz'ora. La glassa leggera la preparo semplicemente utilizzando marzapane (tedesco, ad alto contenuto di mandorla) e albume; 50 g. di marzapane per un albume. La versione tradizionale è quella che indica Silvia Conticini, che riporto:
    • Mandorle spellate e macinate fini, 25 g.;
    • Zucchero, 50 g.;
    • Albume, 20 g.;
    • Amido di riso, 25 g.;
    • Zucchero a velo.

    Biscotti Rinaldo

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    Non c'entrano con il Paladino di Francia e nemmeno biscotti sono, per la verità; almeno non in senso tradizionale, sono paste morbide da inzuppare, assaggiate in Sicilia durante le vacanze natalizie e ovviamente taroccate, dal momento che qui è impossibile trovarle. L'azienda agricola che produce gli originali si chiama Orlando... e io, a scanso equivoci, i miei li chiamo Rinaldo. Ci sono voluti un bel po' di tentativi ma alla fine ce l'ho fatta ed ecco qua la conquista piratesca.
    • Farina di semola rimacinata, 100 g.;
    • Farina integrale, 50 g.;
    • Farina 00, 150 g.;
    • Zucchero, 100 g.;
    • Miele, un cucchiaio;
    • Latte, 50 g.;
    • Olio d'oliva (delicato!!!), 75 g.;
    • Uova, 2;
    • Lievito per dolci, 1 cucchiaino abbondante;
    • Una grattatina di buccia d'arancia o di limone (il sentore dev'esser vago);
    • Vaniglia;
    • Un pizzico di sale.
    Montare uova e zucchero, aggiungere il miele, e poi piano piano la farina mista al lievito, alternata al latte e all'olio, e il sale. Fine. Più rapido di così non si può. Lasciar cadere il composto a cucchiaiate sulla teglia, spolverare di zucchero e cuocere 25 minuti circa a 180 gradi.
    Questi biscottoni sono fantastici tagliati a metà e farciti di marmellata di qualsiasi tipo!

    Madeleines di Lenôtre

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    La ricetta che uso normalmente per fare le madeleinesè fidatissima e non mi ha mai lasciata scontenta, ma ha un neo: richiede l'aggiunta di due albumi "isolati", mettendomi davanti alla questione del riciclaggio dei tuorli. Avendo di recente molta voglia di questi pasticcini, ma pochissima di scervellarmi sul problema, ho cercato un'alternativa e sono capitata per caso sulla ricetta di Gaston Lenôtre. Ne ho ricavato madeleines così buone e con la gobbetta d'ordinanza così ben pronunciata che è subito finita in archivio cartaceo e virtuale. Le mandorle amare ce le metto io perché questo era il sapore delle madeleines che compravo, e quando le preparo voglio sempre rivivere un'esperienza proustiana.
    Premesso che la preparazione inizia la sera prima, o almeno molte ore prima, per consentire alla pasta un lungo riposo in frigo essenziale per la gobba, procuratevi
    • Uova M, 3;
    • Zucchero, 130 g.;
    • Miele, 20 g.;
    • Farina 00 (#405), 150 g.;
    • 5 mandorle amare, macinate finemente insieme a un po' di farina (è necessario far assorbire l'olio!)
    • Burro, 125 g.;
    • Un pizzico di sale;
    • Lievito per dolci, 5 g.;
    • Buccia di limone o di arancia grattugiata;
    • Vaniglia.
    Se avete un po' di tempo a disposizione vi consiglio di preparare il burro noisette (come? clic), perché l'aroma è incomparabile.
    Montare benissimo le uova intere con lo zucchero ed il miele. Non appena la massa sarà bianca e avrà raddoppiato il suo volume aggiungere la farina con il lievito, gli aromi ed il sale. Terminate con il burro. Adesso l'impasto dovrà andare in frigo per almeno due ore, per l'intera notte però è meglio.
    Al momento della cottura ungere di burro e infarinare ogni incavo dello stampo per madeleines, (indispensabile anche se ne usate uno in silicone!). Riscaldate il forno a 230 gradi, riempite ogni incavo un un cucchiaio di impasto freddo (senza spalmare), infornate e abbassate subito la temperatura a 200 gradi. Non andate via: dopo qualche minuto il centro dei pasticcini formerà una fossetta; è questo il momento di abbassare ancora a 180 gradi. Si formeranno allora le gobbette. Dopo altri cinque o sei minuti di cottura (ricetta propone e forno dispone) le madeleines saranno ben dorate e pronte per essere trasferite a raffreddarsi sulla griglia.
    La foto vi mostra anche una variante marmorizzata; basta prelevare un paio di cucchiai d'impasto e aggiungervi un cucchiaino di cacao amaro di ottima qualità.


    "Flan marbré" con pasta sfoglia moretta

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    La pasta sfoglia al cioccolato volevo provarla da un sacco di tempo: aspettavo il periodo dell'anno giusto per avere in cucina la temperatura ottimale per lavorarla, e pensavo proprio di utilizzarla per una tarte au café. L'idea della versione marmorizzata è nata da un nuovo dilemma coniugale... Herr Doktor-Doktor esprimeva proprio in quel momento il desiderio di quella au chocolat, e allora perché non andargli incontro?

    La ricetta della sfoglia è di Chef Philippe di Meilleur du chef,  che ricordiamo qui con animo gratissimo. Si tratta di una sfoglia normalissima, in cui nel cosiddetto "panetto grasso" si utilizza il cacao al posto della farina. Con questa ricetta otterrete 500 grammi di pasta, non vi servirà tutta, ma non è facile lavorare con piccole quantità, anzi quasi impossibile: meglio mettere in congelatore quella in eccesso e utilizzarla in seguito.
    • Farina 0 (#550), 250 g.;
    • Acqua, 125 g.;
    • Sale, 5 g.;
    • Burro, 185 g.;
    • Cacao amaro, 40 g.
    Si parte dalla farina a fontana, mista al sale. Versate l'acqua nel cratere e cominciate a impastare con la punta delle dita. È possibile che la farina assorba più acqua di quanto vi aspettate; se necessario aggiungetene un cucchiaio scarso per volta, senza strafare. Ottenuta una pasta omogenea fate una palla, date un taglio a croce, avvolgete in pellicola e via in frigo per mezz'ora.
    Nel frattempo preparate il burro: mettetelo a pezzi nell'impastatrice, insieme al cacao, fate girare fino a ottenere una massa dal colore omogeneo, ma non ancora molle. Mettete al fresco.
    Al momento di iniziare il lavoro riprendete la boccia, aprite le quattro "punte" del taglio a croce e spianate cercando di rispettare questa forma ma lasciando la parte centrale un po' più spessa. Spalmate il burro al cacao nel centro e chiudete bene formando un quadrato (attenzione a non lasciare aria). Spianate nel senso della lunghezza e date una piega a tre: prima il lato destro, poi il sinistro. Girate e ripetete. E via in frigo per almeno mezz'ora.
    Riprendete l'impasto e date ancora una piega a tre e una a quattro. Altro riposo di almeno mezz'ora.
    Date ancora due pieghe a tre, e siamo a posto. Adesso vadrete che la pasta avrà un colore scuro uniforme, come qualsiasi impasto al cioccolato. Dopo un ulteriore riposo in frigo potrete porzionarla e utilizzarla. 

    Per il flan marbré (da 26 cm) prelevate circa 350 grammi di impasto, stendetelo, foderate lo stampo. Il flan parisien normale si cuoce con la crema dentro, io preferisco precuocere per tempo il fondo (senza bordi) nello stampo imburrato e infarinato, a 180 gradi per una decina di minuti, tagliando la pasta un po' più grande del diametro richiesto, perché si restringerà, è normale. Poi si lascia raffreddare lo stampo prima di aggiungervi il bordo e riempire di crema. 

    Preparate una crema base come vi dico qui:
    • 1 l. di latte al 3.8% di grassi;
    •  150 g. di zucchero;
    •  un pizzico di semi di vaniglia Bourbon;
    •  60 g. di fecola di patate;
    •  un uovo M;
    •  un cucchiaino di burro.
     Dividetela a metà. A una metà aggiungete 4 bustine monoporzione di caffé solubile (o 4 cucchiai) e un cucchiaio di liquore al caffé. Dividete l'altra metà ancora in due. Una lasciatela così com'è e aggiungete soltanto un cucchiaio di rhum, all'altra mescolate un cucchiaio di cacao amaro e due quadratini (ca 10 g.)  di cioccolato fondente.
    Versate nel guscio di pasta (completo di bordo) prima il budino al caffé è poi gli altri due, lasciandoli cadere a caso e passandoci su con la forchetta per perfezionare il "disegno". Cuocete ancora per 40 minuti circa. La pasta sfoglia perde friabilità con il passare delle ore, per cui se avete ospiti da impressionare servite il dolce il giorno stesso; sarà comunque buonissimo, anche se con il guscio meno "croccante", anche l'indomani.

    Maple-Walnut Biscotti (di Re Artù)

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    La presenza in casa di un bel sacco di noci, provenienti dall'Italia, che vanno fatte fuori prima che venga la primavera portando con sé temperature troppo alte per conservarle senza rischiare di trovarci sorprese, unita a una certa qual voglia di biscotti nel senso americano del termine mi hanno portata di recente a spulciare l'archivio della King Arthur alla ricerca di qualche idea. E figuriamoci se non ce l'avevano: e geniale, perché le noci con lo sciroppo d'acero vanno a nozze.
    Unico problema: sarebbe meglio usare lo sciroppo di grado B, che non si trova facilmente. Mi pare di capir che non si esporta. La scelta resta quindi tra il comune sciroppo grado A e il grado C... che costa un accidente. Con il primo, il sapore si avverte meno (ma resta comunque). Quelli della KA consigliano inoltre il maple flavour - da acquistarsi da loro... It´s business, darling!
    Con questa ricetta vengono fuori 36 biscottoni.
     
    • Noci, tostate e grossolanamente tritate, 200 g.;
    • Uova M, 2; 
    • Zucchero semolato, 100 g.;
    • Zucchero di canna, 100 g.;
    • Sciroppo d'acero puro, 80 g. + 2 cucchiai per spennellare;
    • Burro fuso, 75 g.
    • Farina per tutti gli usi, 300 g.;
    • Sale, 1/2 cucchiaino;
    • Lievito per dolci, 1 cucchiaino.

    1. Riscaldate il forno a 175 gradi e preparate una teglia rivestita di carta forno. Se non lo avete fatto prima, tostate le noci salandole leggermente per 10 minuti.
    2. Montate le uova intere con lo zucchero dei due tipi e lo sciroppo d'acero.
    3. Aggiungete il burro fuso continuando a lavorare l'impasto fino a che si amalgama perfettamente.
    4.incorporate la farina setacciata con il sale e il lievito, poi le noci.
    5. Dividete la massa in due e formate due rettangoli, larghi circa 12 cm. e spessi 2, con le mani bagnate. Spennellate ogni rettangolo con un cucchiaio di sciroppo d'acero.
    6. Cuocete per mezz'ora, lasciate raffreddare almeno 10 minuti e tagliate poi in tante fette, spesse un paio di centimetri. Posizionatele di nuovo sulla teglia e fatele cuocere ancora una ventina di minuti, fino a che i margini tagliati inizieranno a scurirsi. Se avete a disposizione teglie abbastanza larghe, potete posizionare le fette in piedi, ben distanziate tra loro. e si asciugheranno perfettamente; altrimenti dovrete girarle a metà cottura. Lasciatele raffreddare direttamente nella teglia.

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    Torta di mele con la crema

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    Ovvero, come dico io, "torta di mele normale", quella che vendono nei panifici a Palermo:  che poi avrebbe natura di crostata, pasta frolla, mele e crema alla vaniglia. Una cosa semplice, della quale avevo voglia senza una precisa ragione, ripensando a certi allenamenti sportivi palermitani durante i quali mi sono trovata a passare davanti a una filiale del panificio Spinnato: e qui facevano bella mostra di sé una decina di esemplari di questo dolce. Inutile dire che quando da quelle parti ci abitavo, non mi piaceva.
    Rispetto alla versione commerciale con frolla di tipo non precisato, mi permetto una libertà: secondo me la crostata con le mele e la crema riesce al top con la frolla tipo Milano, quella di Iginio Massari. Però non ho capito perché Massari la prepari senza aggiunta di mandorle, visto che nei manuali che ho a casa la Mailänder Mürbeteig le prevede. Poco male: gliele metto io, di solito non modifico mai le ricette, ma qui faccio un'eccezione. Chi voglia seguirmi in quest'eresia non se ne pentirà.

    Frolla tipo Milano di Iginio Massari (con aggiunta filologica):
    • Burro, 125 g.;
    • Farina 00 (#405), 220 g.;
    • Farina di mandorle, 30 g.;
    • Zucchero a velo, 100 g.;
    • 1 uovo M;
    • Sale, 1 g.;
    • Lievito per dolci, 2 g.;
    • Buccia grattugiata di limone;
    • Vaniglia (1 cucchiaino di estratto o semi); 
    • Miele, 25 g.
    Amalgamare gli ingredienti umidi e gli aromi a partire da burro e zucchero; il burro dev'essere morbido ma non sciolto, capite che va bene se riuscite a lavorarlo bene con un cucchiaio. Dovrete ottenere una crema omogenea a cui aggiungere la farina, senza lavorare l'impasto con eccessivo zelo, anzi senza lavorarlo per niente: meglio con le mani, dal basso verso l'alto stringendo con i pugni e sfregando come per dire "soldi" (questo è il consiglio delle Simili...). Fare una palla e mettere in frigo per tutta la notte. L'indomani preparare la crema pasticcera secondo questa ricetta:
    • Latte, 500 ml.
    • Amido, 40 g.
    • 2 tuorli d'uovo;
    • Semi di mezza bacca di vaniglia.
    Abbattere rapidamente la temperatura della crema una volta pronta immergendo il tegame o la scodella in un recipiente d'acqua fredda. Preparare poi il resto della farcitura, e cioè
    • 2 belle mele Golden Delicious, a fettine sottili e spruzzate con succo di limone.
    Dipende dalla fiducia nel vostro forno se cuocere o no questo tipo di frolla in bianco (180 gradi per 10 minuti, sul ripiano inferiore). Se decidete di farlo, come me che ho un forno che ha combattuto mille battaglie, è meglio farlo con il solo fondo: la pasta è tenera e un bordo si affloscerebbe. Una volta cotto e intiepidito il fondo si aggiunge il bordo (è possibile che vi resti della pasta, a seconda se usate uno stampo da 24 o da 26 cm; per biscotti è buonissima) e si procede alla farcitura; prima la crema, e sopra alla crema le mele a fettine. Cospargere di fiocchetti di burro e di zucchero e cuocere ancora per mezz'ora almeno. Lucidare la superficie di gelatina d'albicocche.
     

    Le paste all'arancia come a Palermo!

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    A Palermo la pasta all'aranciaè un rotolino di pan di Spagna farcito con una crema, appunto, al sapore molto deciso d'arancia e abbondantemente spolverato di zucchero a velo. Qualcosa di simile alle roulades come questa, ma con una base molto più sottile e una farcitura per niente "spumosa". Mai trovata da nessun'altra parte, per cui per ritrovare questo ricordo d'infanzia non resta che il taroccamento. Eccovi qua, dopo il solito tormento del prova-e-riprova, come si risolve il problema.

    Biskuitroulade secondo la ricetta di Hans-Peter Fink (quello dell'Hotel Sacher):
    • 4 tuorli e 3 albumi;
    • 70 g. di zucchero;
    • 50 g. di farina 0 (#405);
    • 11 g. di amido di mais;
    • un pizzico di sale;
    • semi o estratto di vaniglia;
    • un cucchiaino di burro fuso, non caldo
    Montare gli albumi con lo zucchero, il sale e la vaniglia. Sbattere i tuorli e incorporarli alternando con la farina setacciata insieme con l'amido. Terminare con il burro fuso; stendere l'impasto in strato fine (6-7 mm.) su una teglia rivestita di carta forno e cuocere a 220 gradi, da 5 a 8 minuti. Capovolgere su un altro foglio (o su un canovaccio da cucina) spolverato di zucchero, bagnare con acqua fredda la carta su cui è avvenuta la cottura e staccarla con delicatezza, dopo di che avvolgere e tenere da parte. In questo modo la pasta non si romperà. Non aggiungere lievito per nessun motivo! (si gonfierebbe per poi riafflosciarsi all'uscita del forno in una specie di frittata caramellosa).

    Crema per la farcitura
    • una dose di crema orange curd preparata come vi dico qui
    • una dose di crema pasticcera biancomangiare preparata con 200 ml. di latte, 20 g. di zucchero e 20 di amido
    ... da mescolare insieme, si capisce.

    Pigrizia vuole che io le paste all'arancia le prepari a partire da un unico rotolo, che poi suddivido. A regola d'arte si dovrebbe ritagliare a rettangoli la base di biscuit e farcirli uno per uno. In entrambi i casi, ci vuole poi una bella spolverata di zucchero a velo, meglio se del tipo bucaneve, cioè non igroscopico (altrimenti aggiungetelo solo un momento prima di presentare il dolce).

    Duchessa (di Iginio Massari)

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    Massari è sempre Massari, devo riconoscerlo nonostante la mia riluttanza a lasciarmi travolgere dalle smanie collettive per l'uno o l'altro chef di fama mediatica. Il suo dolce detto Duchessa, scoperto per caso tramite Fables de Sucre, ha conquistato anche me. Si basa sullo stesso principio della spagnola tarta de Santiago, ma presentata in forma di zuccotto e quindi particolarmente soffice.
    Ho visto però che Massari, nella ricetta originale, usa il liquore alla vaniglia (Navan) e non l'amaretto, e la cosa non poteva farmi più piacere. Con tutto il rispetto per il gusto di mandorla, che mi piace molto, questo liquore in certi casi fa un po' troppo l'effetto colla Coccoina (o cianuro, se preferite). Benvenuta quindi la correttezza filologica e il liquore Galliano (in mancanza del Navan). Ho provato anche col Grand Marnier e vi assicuro che val la pena.
    Le uova, a peso come da prassi professionale, corrispondono a 4 formato L o 5 M.

    Montare
    • 175 g. di albumi con
    • 50 g di zucchero
    a neve non troppo ferma. Preparare uno sciroppo con
    • 125 g. di zucchero e
    • 50 g. d'acqua
     e portarlo a 114 gradi; versarlo sugli albumi (occhio: a filo), e continuare a montare; si formerà una merinca bianca, ferma e lucidissima. Aggiungere
    • 75 g. di tuorli,
    • semi di una bacca di vaniglia,
    • 20 g. di liquore (vedi sopra)
    Amalgamare col cucchiaio
    • 250 g. di mandorle macinate finissime, setacciate con
    • 25 g. di fecola di patate e
    • 2,5 g. di lievito per dolci.
    Terminare con
    • 100 g. di burro morbido, a pomata, ma non sciolto.
    Versare in uno stampo da zuccotto imburrato e infarinato e cuocere a 160 gradi per 45-50 minuti controllando con lo stecchino, che deve uscire pulito. Spolverare di zucchero a velo prima di servire.

    La fugassa a lievitazione naturale

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    Nel lontano 2009 ho inserito la ricetta della focaccia genovese suggerita dall'Associazione Panificatori, appunto, genovesi, ottima se non fosse che ci vuole il lievito di birra.  Non è che voglia sconfessarla: me la tengo in caso di ospiti improvvisi e necessità di alto rendimento con minimi tempi, però devo ammettere che non la uso più, da quando in casa è entrato il grande Frankenstein, il lievito madre. Perché quella a lievitazione naturale, e ve ne accorgerete se la provate, non è solo "morbida": è semplicemente di sofficità mostruosa, di più non saprei dirvi.

    Per quanto riguarda il procedimento seguo i consigli di Eugenio Torre attraverso Vittorio Viarengo (Vivalafocaccia). Le dosi sono quelle che preferisco io per una teglia di 30x40 cm e circa diciotto ore complessive di lievitazione.
    • Lievito madre (attivo), 180 g.;
    • Farina 0 o Manitoba, 400 g.;
    • Acqua, 300-350 g. (a seconda di quanto assorbe la farina);
    • Olio e.v. d'oliva, 40 g.;
    • Sale, 12 g.
    • Malto, 1 cucchiaino;
    • Un cucchiaino di strutto (i panettieri lo usano, e la morbidezza ci guadagna).
     Si comincia la sera prima. In generale, il giorno successivo, per cenare intorno alle nove e mezza, le operazioni partiranno intorno alle 17:30.
    1. Sciogliere il lievito con 300 ml. di acqua (se necessario si aggiungerà in seguito), il malto e l'olio. Aggiungere la farina tenendone da parte un paio di cucchiaiate e impastare prima col cucchiaio di legno e poi a mano.
    2. Mescolare alla farina tenuta da parte il sale e unirlo all'impasto. Lasciare partire la lievitazione in ciotola coperta per un'ora, e poi mettere in frigo fino all'indomani.
    3. L'indomani mattina tirare fuori e lasciare a temperatura ambiente finché non raddoppia di volume.
    4. Versare la pasta sul piano infarinato, dare una piega a tre per due volte e lasciarla riposare (coperta) per 40 minuti.
    5. Ungere la teglia, versarci l'impasto e stenderlo con le mani (unte pure quelle). Il tutto cercando di tirare il meno possibile, e piuttosto di pressare con le mani in modo da coprire tutta la superficie disponibile. Spargere del sale grosso (che nella foto non c'è perché io preferisco il rosmarino) e lasciare lievitare come sempre in luogo tiepido, per un'ora.
    6. Versare sulla focaccia un po' d'olio diluito con 100 ml. di acqua tiepida, fare tante fossette con le dita, e rimettere a lievitare per un'ora e mezza almeno.
    7. Preriscaldare il forno a 250 gradi e infornare la focaccia. Abbassare subito la temperatura e cuocere per 15 minuti.
     Ripeto, sofficità mostruosa.

    Crostata morbida ai gelsi e crema biancomangiare

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    Trattasi di crostata con frolla del tipo morbido (quella detta Obstboden perché si usa come base per torte alla frutta) con marmellata di gelsi e crema biancomangiare alla siciliana. Tanto per restare in tema di Sicilia, completa di pistacchi. Con la Sicilia non c'entrano, almeno in questo caso, i gelsi: sono brandeburghesi che più non si può, raccolti in campagna a due passi da casa. Mi sono messa d'accordo con gli alberi... riposate bene d'inverno, che poi ripasso.
    Dosi per stampo da 24 cm.

    Base (Obstboden):
    • Burro a temperatura ambiente, 100 g. 
    • Zucchero, 100 g.;
    • Uova L, 2;
    • Farina, 150 g.;
    • Vaniglia, semi di mezza bacca;
    • Buccia grattugiata di limone;
    • Lievito per dolci, 1 cucchiaino.
    Montare il burro a crema, aggiungere lo zucchero, la buccia di limone, la vaniglia e continuare a montare. Quando la massa sarà ben spumosa aggiungere le uova alla massima velocità, una per volta e con pazienza; se dovesse "fioccare", basta semplicemente non arrendersi, tornerà normale. Aggiungere la farina setacciata col lievito. Versare nello stampo (quello con l'incavo e il bordo smerlato), preventivamente unto e spolverato di farina da polenta o semolino (si staccherà meglio!). Cuocere a 180 gradi per circa 20 minuti. 
    Preparare nel frattempo la crema biancomangiare.

    Crema biancomangiare:
    • Latte intero, 750 ml.
    • Zucchero, 90 g.;
    • Buccia di limone (a strisce, solo la parte gialla);
    • Vaniglia, semi di mezza bacca, più la bacca stessa da lasciare in infusione nel latte;
    • Amido di mais, 80 g.
    Riscaldare 500 ml. del latte con gli aromi e lo zucchero e utilizzare il resto per sciogliere l'amido. Quando il latte è vicino a bollire, versare la miscela e fare addensare mescolando continuamente. Una volta ottenuta una crema ben densa raffreddarla subito immergendo il tegame in un contenitore pieno d'acqua fredda. Attendere che sia a temperatura ambiente prima di eliminare bucce e bacca di vaniglia e farcire la torta.
    Per questa operazione serviranno ancora 
    • 350 g. di marmellata di gelsi neri;
    • 25 g. di pistacchi tritati.
    Stendere la marmellata nell'incavo del guscio di pasta e livellarla bene (mica come faccio io, come mostra la foto impietosa). Versare la crema biancomangiare e livellare anche questa con una spatola. Decorare con i pistacchi. Questa torta dà il meglio di sé l'indomani: i sapori si amalgamano alla perfezione. Conservatela in frigo, è ancora più buona.
     


    Biscotti rustici da colazione

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    Ovvero, elogio dell'errore.
    Uno che sia distratto come lo sono io non dovrebbe mettere mano in cucina, o per meglio dire non dovrebbe farlo se non in modo scanzonato e sportivo, pronto a farsi due risate quando poi i risultati non sono all'altezza della situazione, o quando combina guai. Come sempre, però, la sottoscritta rappresenta la sintesi di atteggiamenti inconciliabili, da una parte la pignoleria tecnica della serie facciamo che eravamo professionisti, e dall'altra la testa per aria. Sul piano pratico, finisce che davanti alle cose fatte così alla buona, "ce lo mangiamo lo stesso..." magari metto su un'aristocratica smorfia, ma la cosa non m'impedisce, specie in caso di stanchezza, di fare errori così cretini, ma così cretini, che l'ultimo studente dell'alberghiero mi piglierebbe in giro a vita.
    Eppure ci sono errori che si rivelano delle vere scoperte: ne nascono ricette autonome che entrano a pieno titolo nell'archivio di casa. Una di queste storie ve l'ho già raccontata qui: i buonissimi biscotti scoperti preparando i koulourakia pasquali... col doppio dello zucchero. Questo è un altro caso. Sono così buoni, e adatti ad assorbire latte, caffé cioccolata e simili, che ormai non so quante volte è che li preparo; richiedono pochissimo tempo, nessun lavoro con le formine... e pure sono rimasti nella storia come i biscotti sbagliati.
    La ricetta, infatti, è esattamente uguale a quella dei biscotti siciliani detti Umberto, con la differenza che vi è presente anche l'uovo. Aggiunto la prima volta, appunto, per distrazione.
    Ve li raccomando: se avete pazienza con un impasto molto morbido, sarete ripagati da friabilità e "pucciabilità" davvero eccezionali. Il procedimento è un po' diverso da quello per gli Umberto, ma gli ingredienti sono quelli.
    • 250 g. di farina 00 (#405);
    • 70 g. di strutto;
    • 70 g. di zucchero;
    • 7 g. di ammoniaca;
    • 100 g. di latte intero;
    • 1 uovo M;
    • vaniglia o vanillina in bustina;
    • buccia grattugiata di limone.
    • Zucchero per spolverare.
     Fondamentale intridere bene la farina con lo strutto, perché non si sviluppi glutine. Dovrete ottenere una miscela sabbiosa simile alle mandorle macinate (qualcuno dice al parmigiano, ma a me proprio non piace e l'idea mi disgusta...). L'operazione, da fare in una larga ciotola, deve durare almeno cinque minuti. Poi si aggiungono lo zucchero e gli aromi, si fa la fontanella, sempre nella ciotola, e nel cratere andranno l'uovo ed il latte. Si incorpora senza impastare né mescolare, muovendo la massa dal basso verso l'alto e stringendola con il pugno. A questo punto mi starete maledicendo, perché l'impasto è appiccicoso. Niente paura; ripulita la mano, c'è solo da prelevare piccole porzioni con due cucchiai e rotolarle nello zucchero. Lasciare cadere su una teglia e cuocere a 180 gradi per 20 minuti circa (forno tiranno, comunque). I biscotti hanno la caratteristica di restare, se glielo consentite, morbidi; in alternativa. una volta intiepiditi, si possono rimettere, pardon, a biscottare in forno spento ancora per una decina di minuti.

    Æbleskiver I (eretici)

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    Non amo i pellegrinaggi, se non quando riguardano personaggi più o meno "normali", o almeno non accreditati di chissà quali poteri taumaturgici. Quello che da tempo sognavo di fare aveva per meta Copenhagen: sulle tracce dell'allegro Kierkegaard e della sua romantica, se pure strampalata, vicenda sentimentale. Non ci giurerei che il padre dell'esistenzialismo potesse proprio definirsi normale, pure resta il mio filosofo preferito e quindi, quando un mese fa si è presentata l'occasione, in Danimarca ci sono andata sul serio. 
    A parte pensare alla filosofia, mi sono portata a casa una padella per gli Æbleskiver che altrove non ero mai riuscita a trovare. Gli Æbleskiver si possono definire dei piccoli pancakes, molto morbidi, che in realtà sarebbero tipici del periodo natalizio ma si trovano tutto l'anno e dovrebbero avere al loro interno della composta di mele. Questi però non sono quelli tradizionali: si preparano con la Buttermilch, il latticello, e non ho ancora avuto l'occasione di procurarmelo. Ciò non toglie che la padella sia comodissima perché permette di ottenere porzioni perfettamente sferiche anche con normali impasti montati. Ho scoperto per esempio che la massa per fare il quatre-quarts, cotta su questa padella invece che in forno, dà pasticcini deliziosi.
    Provare per credere. Per una ventina di palline:
    • 1 uovo L;
    • 40 di farina 00;
    • 20 di amido;
    • 60 g. di zucchero;
    • 60 g. di burro;
    • vaniglia;
    • un cucchiaio di liquore all'arancia, alla mandorla o alla vaniglia;
    • un po' di buccia grattugiata di limone;
    • mezzo cucchiaino di lievito per dolci.
    Montare burro e zucchero con gli aromi in una crema ben spumosa, aggiungere l'uovo incorporandolo bene e infine la farina, da mescolare con la spatola dall'alto verso il basso (niente mixer: pena, risultato gommoso). Terminare con il liquore. Riscaldare la padella a calore medio per cinque minuti, ungere gli incavi con poco burro e riempire ciascuno di essi con un cucchiaio di pasta. Si gonfierà; quando inizia a staccarsi, rivoltare ogni porzione con l'aiuto di uno spiedino o di un ferro da calza.
    Spolverare di zucchero a velo. Si conservano benissimo in una scatola per biscotti. Con lo stesso attrezzo si possono preparare le Camillecon ancora maggiore fedeltà all'originale (prima o poi arriva la foto).

    Baked Donuts (di Re Artù)

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    Quelli della Dunkin Donuts mi facevano antipatia già nella patria loro. Figuriamoci ora che stanno colonizzando l'Europa, e che per giunta i donuts,se sono in preda a nostalgie del magico mondo a stelle e strisce, me li preparo da sola. Questa versione non è fritta, ma la differenza non si avverte (a parte il sentore dell'olio "da macchina" dei donuts commerciali): la ricetta è stata studiata da quelli della King Arthurproprio per ottenere questo effetto. Sono buonissimi e proprio come ce li ricordiamo... eccoli qua con le dosi secondo il sistema metrico decimale, che il ciel lo benedica.
    • 110 g. di farina 00 (#405);
    • 100 g. di zucchero;
    • 1 cucchiaino di lievito per dolci;
    • 28 g. di yoghurt (in alternativa: stessa quantità di latte in polvere + 2 cucchiai d'acqua + 2 cucchiaini di succo di limone; 2 cucchiai colmi di buttermilk alias latticello);
    • una presa di noce moscata;
    • 1/4 di cucchiaino di sale;
    • un pizzico di cannella;
    • 2 uova M;
    • 35 g. di olio di semi.
     Mescolare gli ingredienti asciutti in una ciotola. In un recipiente a parte sbattere uova, olio e yoghurt (o latte/buttermilk) finché saranno schiumose (non montate, ma semplicemente schiumose, come una frittata). Versare il liquito d'un colpo solo sulla farina e mescolare rapidamente, devono solo combinarsi; se restano tracce di farina, spariranno in cottura, niente zelo se no si formerà troppo glutine e le ciambelle saranno gommose. Riempire gli stanpi da ciambellina bene imburrati e infarinati fino a metà altezza. Cuocere a 180 gradi da 10 a 12 minuti. Sono pronte quando shanno un bel colore dorato e, a toccarle leggermente, la fossetta torna su.

    A scelta la guarnizione: un classico è il cinnamon-sugar donuts, e in questo caso mettete le ciambelline calde in un sacchetto contenente un misto di zucchero e  cannella e scuotetele perché si rivestano bene; oppure rivestitele di glassa o spolveratele di zucchero a velo.

    Le ciambelline allo yoghurt di Flavio

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    Merendina tra quelle della serie "i fantastici anni Ottanta", recuperata grazie a Flavio, in arte Tlazolcalli, mio maître à penserin fatto di cucina messicana in tempi post-californiani e caratterizzato da una simpatia, ma una simpatia, che se uno legge le sue ricette ed è per qualche ragione seccato, ritorna allegro ancora prima di assaggiare il risultato.
    Quindi, innanzitutto lo ringrazio per la ricetta; e a questo punto perché la inserico? Perché procede con il principio dei vasetti di yoghurt da usare come misurino, e proprio su questo... non mi trova d'accordo: io sono di quelli snob, che vogliono sapere le quantità esatte. Allora, nel caso in cui ci fossero in giro miei compagni di snobismo, può essere utile rendere noto a che cosa corrispondono le dosi indicate da Flavio.
    • 150 g. di yoghurt al 3,5%;
    • 130 g. di zucchero;
    • 125 g. di farina 00;
    • 60 g. di amido per dolci;
    • 90 g. di olio di semi;
    • 2 uova M;
    • 10 g. di lievito per dolci;
    • buccia di limone;
    • un pizzico di sale;
    • vaniglia;
    • un cucchiaino di acqua di fior d'arancio.
    Montare uova e zucchero con gli aromi, senza separare tuorli e albumi. Quando la massa sarà spumosa aggiungere l'olio a filo, e in ultimo la farina setacciata col lievito, a mano e molto rapidamente. Versare negli stampini da ciambella e cuocere 15-20 minuti massimo a 180 gradi. Sformare quando saranno freddi e spolverare di zucchero a velo possibilmente non igroscopico .
    In mancanza di stampini da ciambella si possono preparare delle tortine utilizzando le forme per muffins. In ogni caso, regola imprescindibile è quella di ungerli e infarinarli per benino perché altrimenti non c'è antiaderenza che tenga, si attaccheranno.   

    Torta di rabarbaro alla danese (di Lagkagehuset)

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    Ricetta di Ole Kristoffersen della catena di pasticcerie Lagkagehuset, souvenir del mio recentissimo viaggio a Copenhagen. Città affascinante, in cui veramente mi piacerebbe molto tornare.
    La torta è fatta di una pasta a briciole e di un impasto soffice (mazarin) in cui affondano i pezzetti di rabarbaro.

    Ripieno: 
    • 250 g di rabarbaro pulito e tagliato a pezzetti 
    crema pasticcera (fredda), preparata con:
    •  1 tuorlo d'uovo;
    • 1 cucchiaio di zucchero;
    • semi di mezza bacca i vaniglia;
    • 150 ml. di latte;
    • 1/2 cucchiaio di amido.
    Pasta a briciole (Smuldredej):
    • 40 g. di burro;
    • 80 g. di farina;
    • 40 g. di zucchero;
    • 1/2 cucchiaino di lievito per dolci.
    Impastare tutto fino ad ottenere, per l'appunto, briciole, niente di più e niente di meno.

    Impasto base (Mazarin):
    • 80 g. di burro morbido;
    • 80 g. di zucchero;
    • 80 g. di farina;
    • 2 uova;
    • 1 bacca di vaniglia (i semi);
    • 1 cucchiaino di lievito per dolci.
    Montare burro e zucchero a crema con la vaniglia. Aggiungere le uova una per volta, ripulendo bene le pareti della ciotola dopo ogni aggiunta.  Terminare con la farina setacciata col lievito.
    Preparare uno stampo da 20 cm. (massimo 22). Spargere metà delle briciole sul fondo, posizionare qua e là cucchiaiate di crema pasticcera e sistemare sopra a tutto quanto i pezzetti di rabarbaro. Spargere il resto delle briciole e uocere 45-60 minuti. Dopo i primi 45 minuti occhio al colore! Servire così com'è o con la panna, per veri duri.
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